lunedì 31 maggio 2010

Fenomenologia del giovane democratico








Come contributo al dibattito sulla "questione generazionale" nel Partito democratico, che consuma settimanalmente le pagine di quotidiani, periodici e rotocalchi, presentiamo questa breve galleria di tipi ideali da noi elaborata. (Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti ecc. ecc.).

Aggiungiamo soltanto che questa variegata ma incompleta tipologia compendia alcune singolari categorie dello spirito che, calate nella realtà, possono conoscere un numero pressoché illimitato di possibili incroci e combinazioni.

Il predestinato.
Vive e prospera nella manovra di corridoio. Nulla del suo aspetto lasciare trasparire il suo ruolo di “predestinato”: non l’eloquio, non il carisma né lo spessore intellettuale, eppure alla sua età ha già accumulato una serie impressionante di incarichi, saltando con innato tempismo e dorotea disinvoltura da uno scranno all’altro. Raramente si espone in pubblico, se non per lanciare declamazioni assolutamente generiche e messaggi apparentemente pacificatori. Dispone tuttavia di una piccola corte: perché il predestinato è il predestinato. Lettura preferita: "Tra De Gasperi e gli U2" di Matteo Renzi.

L’intellettuale triste.
Era partito per cambiare il mondo, ma ora, le tempie precocemente ingrigite, si ritrova a disquisire sulla imprescindibile opportunità rappresentata per il territorio dal fotovoltaico a Ca’ Cappellino. E’ l’ultimo oscuro erede del filone nazionale “crocio-gramsciano”. Cita volentieri Obama, ma da come parla in pubblico si capisce che un po’ di nostalgia per il partito come grande “pedagogo” delle masse la coltiva e legge, ormai in segreto, aggredito dai sensi di colpa, libri di Zizek e il “Manifesto”. Lettura preferita: "Storia d'Europa nel secolo XIX" di Benedetto Croce.

Il pollo di batteria.
Conosce il partito in tutte le sue minime articolazioni correntizie, manda a memoria i nomi di compagnie, brigate, sodalizi. Nuota a suo agio fin da adolescente nelle più astruse dispute congressuali e impara da pochi vaghi segni, come un aruspice, a capire in quale direzione tirerà il vento. Si orienta di conseguenza. Tappa dopo tappa, tassello dopo tassello, salirà rapidamente l’intera gerarchia evolutiva delle organizzazioni giovanili di partito e, poi, entrato nel mondo “adulto”, quello stesso partito che lo ha accudito come una chioccia faticherà ad imporlo come vice-sindaco in qualche giunta comunale, dove riceverà le deleghe alla pace imperitura e all’associazionismo pensionistico-sportivo. Lettura preferita: "Noi" di Walter Veltroni.

Il “ggiovane”.
In questo caso l’abito può fare il monaco: il giovane con due “g” si riconosce spesso dal look democratico-trasandato e dalla facilità di parola, erede puntuale delle ondate assembleari post-sessantottine e delle relative orge retorico-verbali. Ogni suo studiato intervento si apre e si conclude nel segno di un sempre auspicato rinnovamento del partito, che viene presentato come una necessaria palingenesi, a metà tra l’Apocalisse di Giovanni e il film “Il Gladiatore”. Si presenta come un movimentista, si dice stretto nelle liturgie di partito, pronto ad incarnare il cambiamento, ma potrebbe essere pericoloso sottovalutare la sua abilità nel far magicamente fruttare in sede politica, al momento opportuno, quote e rendite prettamente “generazionali”. Lettura preferita: Dylan Dog e Topolino.

Segue...

venerdì 21 maggio 2010

La nuova Europa













Ecco la nuova cartina dell'Europa secondo l'autorevole "Economist". L'Italia (ri)divisa in due, con il "mare nostrum" nel mezzo, e il poco lusinghiero nome di "Bordello" assegnato al nuovo Regno delle Due Sicilie.

C'è da dire che questi spiritosi inglesi, a quanto pare non sospettabili di simpatie leghiste, hanno provveduto anche a (ri)collocare il Regno Unito dalle parti delle isole Canarie, a ridosso di quella pittoresca ma traballante Europa mediterranea che sembra antropologicamente inadatta a sostenere i rigori del mercato unico.

giovedì 20 maggio 2010

Un poeta militante




Edoardo Sanguineti (1930-2010)

"Io tendo sempre più ad insistere sul momento anarchico come momento di pulsione della grande arte critica del Novecento. Se questo momento ha trovato incarnazione, non è stato tanto nella forma della canzone 'all'italiana', quanto piuttosto nelle esperienze di certo rock violento e oggi, semmai, del rap e di altre espressioni di questo genere". (Rap e poesia)

giovedì 13 maggio 2010

Versi filosofici









Un esercizio di stoicismo

Come un tetro epigono
di qualche sapienza decaduta
mi fletto, a intervalli regolari
con falsa degnazione
e avanzo lungo i portici,
mostro i segni titubanti
di questa lucida erranza,
mostro questa scialba toga
che ostenta tiepidi doveri repubblicani
ad una platea assente,
e troppo educata,
sparuta.

Filosofia dello spirito jenese. Commentario

Come posso custodire
nel segreto e nella lontananza
da qualsiasi regola aurea
la mia conclamata insipienza,
l’equilibrio carsico di forma e di spasimo
che declina ogni instabile tassello,
ogni indomita “avventura” della coscienza?

Non tremo, né prego dei
ma confido in questo perpetuo
movimento, in questa astratta perdizione
cui segretamente anela
ogni salda fibra del mio ingegno
nel suo sotterraneo
cesello.

Diego Crivellari

venerdì 7 maggio 2010

L'Estate di Davide





Un viaggio da Torino fino al Polesine. Anzi, fino alla piazza di Crespino e poi giù giù fino al Delta. Un anti-romanzo di formazione per immagini. Dove va Davide? “In nessun posto”, è la risposta.

“L’Estate di Davide” è un film di Carlo Mazzacurati, che fu presentato (e apprezzato) al Festival di Locarno nel 1998. Ebbe purtroppo una vita distributiva non facilissima, come accade a parecchie pellicole di valore nel mercato nostrano: dopo averlo cercato (invano) e dopo aver perso una lontana proiezione rodigina, qualche giorno fa sono riuscito a “recuperarlo” miracolosamente in una sala di Padova, dove era proiettato nell’ambito di una rassegna.

Si tratta veramente di un film pregevole: per la sua fragilità, per la sua eleganza, per il pudore dello sguardo, per la maniera in cui tante cose vengono dette e raccontate, senza essere mai “urlate” o “esibite”. Belle le musiche di Ivano Fossati, bravi gli attori, a cominciare dallo "zio di Davide", Toni Bertorelli. (Ma l’attore protagonista, invece, che cosa farà adesso?)

venerdì 30 aprile 2010

All the Sad Young...




Com'era l'America "obamiana" prima dell'avvento di Obama, tra il crepuscolo di Clinton e l'improbabile epopea del cow-boy George W. Bush? Ecco un bel romanzo generazionale, "Tutti gli intellettuali giovani e tristi" (ed. Einaudi), di Keith Gessen: giovane, intellettuale, americano, ma nato in Russia, e di sinistra. Il titolo originale del libro suona molto meglio: "All the Sad Young Literary Men".

Le storie dei tre protagonisti, Mark, Sam e Keith, scorrono parallele, tra discussioni politiche, ambizioni frustrate, relazioni sentimentali precarie come e più del lavoro, intermittenti e dolorosi contatti con il mondo "adulto" e con le sue (necessarie?) ipocrisie. Tre derive autobiografiche strettamente legate, in cui l'autore evidentemente gioca a (s)velarsi e a rivelare ironicamente i nemmeno troppo nascosti turbamenti della sua/nostra generazione. Qua e là affiorano, mascherate, figure di spicco dell'intellighenzia progressista (es. Noam Chomsky).

Leggendo le pagine del libro, mi chiedevo tra le altre cose: ma che cosa stiamo facendo noi, noi trentenni, per provare a tenere le redini di questo mondo caotico e sfuggente almeno per un momento? Per provare ad essere qualcosa di più che semplici spettatori di quello che ci circonda? Dilemma trans-oceanico, a quanto pare.

Chissà. Forse i cambiamenti, veri o presunti, della Storia si annunciano e si accumulano impercettibilmente dentro di noi, come un'interminabile, contraddittoria sequenza di stati d'animo, un'onda di cui non riusciamo, se non molto raramente, a cogliere il senso... Questo pensavo, leggendo l'ultima pagina del libro di Gessen.

martedì 20 aprile 2010

Il Pd e lo 'strano' rapporto con la Lega




In questo strano “caos calmo” che regna nel centrosinistra dopo l’esito invero assai preoccupante dell’ultima tornata amministrativa (il risultato deludente delle elezioni regionali e la perdita di diversi comuni importanti anche sul piano simbolico, da Mantova giù giù fino a quel di Comacchio), il nervosismo che serpeggia tra i vari leader e sottoleader nazionali fa il paio con le difficoltà incontrate dal gruppo dirigente del Pd nel definire o almeno cercare di abbozzare una concreta via d’uscita, per un partito che dovrebbe essere il perno insostituibile di qualsiasi ipotesi di alternativa rispetto all’asse sempre più solido instaurato tra Lega e Pdl. Un’altra, poi, è la questione che aleggia un po’ dappertutto e che riguarda naturalmente anche il Veneto, la cosiddetta “questione settentrionale”, spesso declinata nelle sue varianti meno originali (il partito del Nord).

Bisognerebbe chiedersi a questo punto: nel prossimo futuro varrà ancora la pena di scontrarsi frontalmente con la Lega, come è avvenuto durante questa campagna elettorale, per poi ritornare a blandire i leghisti subito dopo la chiusura delle urne, con tanto di lodi sperticate al modello di radicamento della Lega e al suo essere tra la gente “come il vecchio Pci”, improvvisate aperture di sindaci sul territorio e velati corteggiamenti nel nome del pragmatismo (agnosticismo?) amministrativo e del “vorrei ma (forse) non posso”? Una sintomatica divaricazione. Rimane probabilmente ancora da verificare se si tratti di posizioni e di modelli così compatibili (personalmente conservo forti dubbi), ma quel che è certo è che il Pd manca di una vera strategia e non sa come arginare un partito di cui subisce la fascinazione di forza popolare e che riesce a combinare con spregiudicatezza spinta federalista e centralismo interno, velleità modernizzatrici e visione paternalistica della società.

Non è un caso che i presidenti leghisti di Veneto e Piemonte, Luca Zaia e Roberto Cota, prima ancora di riprodurre l’inossidabile mantra federalista-secessionista contro i misfatti partitocratici di Roma ladrona, abbiano scelto per il loro debutto congiunto lo spinoso tema della pillola Ru486. In cima ai pensieri della Lega, autroproclamatasi di lotta e di governo, sta ora anche un’altra Roma, quella vaticana. La Lega ha cambiato i rapporti di forza dentro il centrodestra, è autorevole interlocutore delle gerarchie cattoliche, su quelle posizioni schematicamente riassumibili come “difesa della vita”, e reclama addirittura Palazzo Chigi.

E tutto questo, però, avviene in un Nord secolarizzato, pluralistico, europeo, caratterizzato da quel “politeismo di valori” che è cifra della modernità non in virtù di qualche complotto massonico o comunista, ma come esito storico di una plurisecolare evoluzione del mondo occidentale, delle sue istituzioni e dei suoi costumi. Il confronto sui contenuti è buona cosa, a cominciare dal federalismo fiscale, ma il Pd è obbligato dalla propria ragione sociale a marcare in fretta una chiara linea di alternativa, facendo attenzione a troppo improvvide strizzate d’occhio.