giovedì 4 novembre 2010

Verso il congresso del Pd polesano





















IL PARTITO DEMOCRATICO E LE SFIDE DEL FUTURO

UNIRE I RIFORMISTI POLESANI, COSTRUIRE E RADICARE IL PARTITO SUL TERRITORIO, APRIRE UNA NUOVA STAGIONE POLITICA ALL'INSEGNA DEL CAMBIAMENTO

1.

Il risultato delle ultime elezioni regionali consegna un quadro politico difficile al centrosinistra e al Partito democratico, a livello nazionale come in Polesine: al calo di consensi quasi generalizzato si unisce un diffuso senso di preoccupazione tra iscritti e militanti per le scadenze future e per le prospettive del partito nel suo complesso.

Come provare ad uscire da questa situazione? Ripartendo dalla politica. Oggi il Pd polesano è obbligato dalla propria “ragione sociale” a definire una chiara linea di alternativa: una linea di alternativa che, insieme ad una forte proposta politica, diversa dalle promesse e dagli slogan elettorali di Pdl e Lega e in grado di interloquire concretamente con la società civile, sappia tuttavia anche tracciare una cesura rispetto ad alcune scelte del recente passato e ridare speranza alla gente.

Per fare questo è davvero necessario un "cambio di passo", ma questo cambio di passo evocato da molti può avvenire soltanto sulla base di una netta opzione riformista, una opzione culturale e politica che il Pd deve fare propria senza ambiguità e senza incertezze e che implica, in qualche modo, una seria "revisione" di quanto avvenuto nei primi anni di vita del partito.

Scelta riformista come metodo e come valore, ma anche come unica opportunità per cercare di definire una credibile identità del progetto del Pd, una prospettiva unificante, oltre quella che è stata troppo spesso percepita, anche dal nostro elettorato, come una semplice giustapposizione di vecchie appartenenze e scuole politiche.

E’ proprio dal Partito democratico che dobbiamo ripartire per costruire un progetto di governo e una alternativa alle destre di Pdl e Lega: dobbiamo cioè recuperare uno spirito rivolto al cambiamento, coerente con le ragioni che hanno portato al superamento di Ds e Margherita e alla nascita del Partito democratico. Il Partito democratico deve dare vita a un modello di partito che risponda a requisiti rigorosi di democrazia e trasparenza e sappia essere punto di riferimento essenziale del territorio.

Il nostro partito è nato non per essere una sigla tra le altre sigle del mercato elettorale, ma per dare un chiaro segnale di discontinuità rispetto a vecchi modi e vecchi metodi della politica tradizionale, per avvicinare alla politica persone che fino ad oggi non hanno visto nei partiti tradizionali dei luoghi nei quali poter impegnarsi attivamente; un partito che è nato per dare una casa comune ai riformisti e ai progressisti, per unire il meglio delle culture politiche e delle storie che hanno edificato la democrazia in questo Paese.

Il nostro obiettivo deve essere ambizioso: abbiamo il dovere di creare le condizioni perché il Pd continui ad essere il partito guida di questo territorio per i prossimi anni, un luogo di elaborazione politica e culturale. Il futuro della nostra provincia deve essere pensato proprio qui, in Polesine, e non può essere l’esito di strategie e di visioni che vengono formulate altrove; sarà un futuro la cui costruzione andrà necessariamente motivata, argomentata, "qualificata", puntando sulle idee migliori, sulle competenze e sulle capacità di elaborazione progettuale che esistono – e sono molte – anche in loco.

Facendo leva sul coinvolgimento di iscritti e di militanti, sarà possibile produrre una proposta politica autonoma e aderente a quelle che sono le reali esigenze del Polesine. Valorizzare i circoli, valorizzare le persone è oggi un vero aspetto decisivo del futuro del Pd. Il Pd dovrà dimostrare anche di essere in grado di promuovere veramente quelle che sono le sue eccellenze, i suoi giovani e i suoi dirigenti locali migliori, di far vivere la propria esperienza in mezzo alla gente, sulla base di idee e progettualità, da mettere al servizio della nostra terra. Occorre ricreare e rilanciare una idea forte di militanza e di appartenenza, e occorre ripensare i circoli anche come luoghi possibili di una socialità “gratificante” per donne, uomini, giovani, anziani, lavoratori. Alla vecchia "pedagogia" dei vecchi partiti novecenteschi, organizzata su base centralistica e ideologica, e che pure ha avuto una funzione essenziale nell'edificazione del nostro sistema democratico, deve oggi subentrare un modello più flessibile, dinamico, partecipativo, non gerarchico, aperto alla società e all'individuo.

Si tratta, ovviamente, di un cambiamento che tocca da vicino anche il Pd polesano, cioè una forza politica in cui oggi confluiscono un gran numero di esperienze e di “storie” provenienti da partiti di massa come il Psi, il Pci-Pds, la Dc. Eredità importanti, significative, che rappresentano un patrimonio politico enorme, ma che, sul piano dell'organizzazione, rischiano di essere eredità ancor più pesanti e possono difficilmente tradursi nell'applicazione di schemi adeguati al presente, senza una adeguata, coerente, compiuta revisione di modelli e categorie del passato.

2.

La nascita del Partito democratico è stata un momento di grande speranza per la politica italiana: per la prima volta nella storia repubblicana è sembrato finalmente essere vicino l’obiettivo di unire le diverse forze riformiste di questo Paese – realtà storicamente divise da aspre contrapposizioni e contese ideologiche. Gli accadimenti imprevisti di questi ultimi anni – crisi e caduta del governo Prodi, sconfitta elettorale del Pd, avanzata del centrodestra e della Lega nella società italiana prima ancora che nelle urne – hanno evidenziato come il percorso che abbiamo inaugurato con le primarie del 2007 sia ancora da portare a compimento: il Partito democratico dovrà quindi cercare di essere all’altezza di quelle che erano le aspettative legate alla sua nascita e per fare questo è oggi necessario puntare su una sostanziale discontinuità rispetto al passato, puntare sull’innovazione politica e culturale, ad ogni livello.

Pensiamo ad un partito in grado di sperimentare da subito nuove modalità di partecipazione e di condivisione. Pensiamo ad un partito più orizzontale, capace di lasciarsi alle spalle una organizzazione spesso troppo rigida, scarsamente flessibile nella mentalità prevalente di molti dirigenti come nelle forme decisionali e nelle occasioni di partecipazione che sono praticate abitualmente in ogni ambito. Pensiamo ad un partito laico, libero, aperto, moderno, europeo, che sappia essere un effettivo luogo di elaborazione politica rivolto al futuro e non un semplice contenitore in cui siano accorpate vecchie identità. Pensiamo ad un partito in grado di esprimere un nuovo pensiero riformista, vicino ai problemi e alle sfide epocali del nostro tempo: sviluppo sostenibile, cultura delle libertà e dei diritti, difesa dell’ambiente, tutela del lavoro.

Pensiamo, infine, ad un partito che sia capace di organizzarsi "in rete", mettendo in relazione le esperienze e le competenze che sono presenti sul territorio, facendo leva sul coinvolgimento di iscritti e di militanti, producendo una proposta politica autonoma e calibrata su quelle che sono le reali esigenze del Polesine, esito di un dibattito largo e veramente plurale, nella convinzione che il "capitale umano" sia il vero aspetto decisivo della vita del Pd. Occorre pertanto passare da una logica di appartenenza ad una aggregazione sulla base di idee e progettualità, al servizio di tutto il Partito democratico. Questa è la condizione per poter pensare – o ripensare – il nostro partito come casa comune di tutti i riformisti polesani, una casa aperta e accogliente per chiunque voglia contribuire a costruire una politica nuova, concretamente, giorno dopo giorno.

3.

Il Pd dovrà adoperarsi per costruire una alternativa reale alla Lega e alle destre e presentarsi come un moderno partito di programma, che guarda in avanti, si attrezza per leggere la "società complessa" e presenta le proprie proposte a tutti i cittadini, sui temi che interessano ai cittadini. La battaglia si svolge anche sul terreno culturale: occorrono studio e riflessione, coinvolgimento e discussione. La partecipazione è la prima alternativa al modello di personalizzazione promosso dal Pdl, o alla retorica dei "duri e puri" portata avanti dai leghisti nostrani. Se, per esempio, il diritto alla sicurezza è qualcosa di essenziale per la nostra società, una forza di governo responsabile come il Pd ha il dovere di affrontare questo problema senza ricorrere alla demagogia. Altra cosa, infatti, è coltivare in modo sistematico il pregiudizio, fomentare sentimenti di ostilità o pensare di praticare l'esclusione. La crescente preoccupazione di larghi strati della nostra società in merito alla sicurezza, tematica talora amplificata a dismisura dai mezzi di comunicazione e dai guasti di una politica dissennata (che in sede regionale e nazionale vede protagonista il centrodestra), mette in discussione i fondamenti del nostro vivere civile e chiama in causa l'essenza della nostra democrazia. Merita pertanto di essere affrontata in maniera responsabile. L'unico modo corretto per uscirne è tornare a parlare il linguaggio delle regole, dei diritti e della legalità, senza ambiguità e senza rincorrere facili posizioni, ma anche senza reticenze, affiancando allo lotta contro la criminalità una seria strategia di integrazione.

La competizione con Lega e Pdl deve avvenire oggi non sul terreno della sterile polemica, ma sul terreno dei valori e delle scelte, mettendo in luce le contraddizioni e le promesse mancate del centrodestra, sia in ambito nazionale che in ambito locale, dalla crisi economica ai problemi del lavoro e dell'ambiente, dai tagli alle amministrazioni pubbliche alla "controriforma" dell'istruzione. Da questo punto di vista, il Pd polesano, che attualmente guida l'unica provincia del Nordest amministrata dal centrosinistra, deve essere consapevole di portare su di sé una doppia responsabilità. La doppia responsabilità di un partito che è forza di governo nel proprio territorio e che tuttavia deve incalzare in maniera incisiva e costruttiva il centrodestra, puntando a prendere in esame e a criticare (anche aspramente, se necessario) le concrete scelte di governo centrale e amministrazione regionale e, in senso più ampio e generale, prospettando una alternativa complessiva al modello politico e culturale, su più fronti dimostratosi fallimentare, del centrodestra.

Per fare questo serve un partito orizzontale e inclusivo. Il Pd ha l'obbligo di lavorare per rafforzare e ampliare il centrosinistra ad ogni livello. Un punto importante è dato dal dialogo che deve essere garantito con quelle forze che già oggi concorrono a rappresentare il centrosinistra, dal Psi all'Idv, da Sel e dalla Federazione della Sinistra alle componenti civiche e moderate presenti in varie amministrazioni. Il nostro obiettivo prioritario è quello di costruire un centrosinistra che guarda con attenzione anche verso i settori più moderati della società e vuole proporsi come forza di governo credibile. Vogliamo tuttavia anche respingere l’idea di un partito che definisce la propria linea politica in ambito locale guardando in modo semplicistico alle piccole convenienze o accodandosi ad altre forze politiche per conquistare spazi di mera sopravvivenza. L’obiettivo perseguito nelle amministrazioni locali deve essere quello di allargare l’area del consenso per il centrosinistra, in un quadro di chiarezza dei rapporti e di compatibilità amministrativa e politica: questo è il terreno su cui lavorare in Polesine per affrontare la prossima tornata amministrativa del 2011, a cominciare da un appuntamento decisivo come quello rappresentato dalle elezioni comunali di Rovigo e senza naturalmente tralasciare l'eventualità di elezioni politiche anticipate.

Per avviare una nuova stagione politica è anche necessario lavorare insieme per cambiare e rinnovare la classe dirigente del Pd: dobbiamo promuovere una nuova generazione protagonista, nelle amministrazioni e nel partito, per radicare maggiormente il Pd nel territorio. Ed è sempre in questa ottica che dobbiamo impegnarci a promuovere primarie e ampie consultazioni per le cariche elettive, come momenti di scelta, ma anche come momenti di discussione, di rinnovamento e di apertura del partito alla società, senza che questo equivalga ad una sorta di pericolosa "deresponsabilizzazione" dei gruppi dirigenti. Come detto in precedenza, l'elemento della partecipazione di iscritti e di elettori potrà costituire piuttosto un elemento di fondamentale importanza per il rilancio della vita del partito e per la sua aderenza al territorio.

Il Pd deve inoltre riaffermare con decisione la laicità della politica: il nostro obiettivo è costruire un partito plurale e pluralista, un partito di centrosinistra in cui la differenza e le differenze siano un valore e non un ostacolo. Per questo il Pd non può essere un fragile compromesso tra cattolici e laici, ma deve saper affermare la laicità come valore positivo, come metodo di ricerca e di azione. Il partito deve avere un ruolo centrale nello scenario politico, coltivare la propria autonoma iniziativa e non può voler delegare a nessun altro soggetto politico la rappresentanza di interessi e di "pezzi" di società.

Il nostro partito deve riconoscere come prioritaria l’importanza del mercato e della concorrenza, contro ogni velleità dirigista, centralista, corporativista. Promuovere una cultura dell’efficienza e del merito. Valorizzare le individualità. Creare le condizioni per rafforzare il "capitale sociale" e il "capitale umano" del nostro territorio: scuola, formazione e università hanno un ruolo centrale. Per noi, "riformismo" non è un concetto astratto, né un ideale irraggiungibile: riformismo significa dare risposte concrete su problemi che si "chiamano" lavoro, diritti, ambiente, governo del territorio ecc. Significa adoperare le categorie e gli strumenti più adeguati ai problemi, sapendo parlare la lingua del proprio tempo. Significa riconoscere e promuovere gli investimenti economici e infrastrutturali, che possono portare lavoro e ricchezza nel nostro territorio, rifiutando ogni logica aprioristica e ogni estremismo, ma anche sapendo rivendicare benefici immediati per le popolazioni locali e considerando come prioritaria la dimensione della sicurezza ambientale e della salute dei cittadini.

E’ altresì indispensabile che il Pd sappia incarnare in modo nuovo un pensiero "altro", un modello di sviluppo riconoscibile e soprattutto credibile, cercando da subito di costruire il percorso – faticoso eppure necessario – verso uno sviluppo in grado di far leva sulle vocazioni e sulle opportunità del territorio, in cui il ruolo delle pubbliche amministrazioni sia di reale indirizzo e di reale programmazione: c’è bisogno di tornare ad un ruolo forte e autorevole della politica, ad un ruolo di proposta e di interpretazione attiva di fasi, problemi e processi. Bisognerà inoltre rimettere al centro del nostro agire l’individuo, la persona, la qualità della vita ed un’idea di crescita armonica e condivisa del territorio, un’idea che sia capace di conciliare le ragioni della produttività con quelle dell’ambiente, in maniera non forzata e senza sacrificare nessuno di questi aspetti, imparando a guardare avanti anche in momenti difficili come l’attuale. In breve: imparare ad "organizzare il buon vivere" della nostra comunità e a cogliere le opportunità che si presentano.

Il partito deve pensare ad un nuovo modello di sviluppo per il Polesine e stabilire alleanze con i settori più dinamici e produttivi della società polesana. Oggi è necessario stimolare un vero e serio confronto programmatico, che disegni il profilo di forza autonoma e di governo del Pd polesano. Occorre scommettere sulle potenzialità del Polesine: il turismo, l'agricoltura, la pesca, la piccola e media impresa. Il programma della giunta provinciale guidata da Tiziana Virgili contiene una serie di punti e di indicazioni assai significative, che potranno contribuire ad aprire una fase di modernizzazione "dolce" del nostro territorio e sostenere l'elaborazione programmatica del Pd nei prossimi mesi. L'ambiente, in particolare, con gli elementi di innovazione contenuti nei principi della "Green economy", potrà costituire finalmente un autonomo fattore di crescita e di sviluppo, in grado di coniugare parametri economici e qualità della vita, diffusione di una nuova imprenditorialità diffusa e di una cultura del territorio. La realizzazione delle necessarie infrastrutture digitali (ad es. internet veloce) e il completamento delle infrastrutture "pesanti" (Nogara-Mare, Nuova Romea ecc.) dovrà avvenire all'interno di un quadro armonico di sviluppo che consideri l'esigenza di concepire utili sinergie con le aree limitrofe, nonché di promuovere l'intermodalità e la peculiarità delle diverse reti di trasporto, la piena valorizzazione delle nostre potenzialità turistiche e ambientali, a cominciare dal Parco del Delta e dalle vie d'acqua che connotano da sempre l'identità del Polesine. Ed è sempre all'interno di questo quadro complessivo di compatibilità con il territorio che andranno studiati e considerati con attenzione anche eventuali grandi insediamenti industriali.

In aggiunta, appare impensabile uscire dalla crisi e tornare a crescere, specialmente per un territorio come quello polesano, troppo spesso schiacciato dalle priorità e dagli interessi di aree più forti, se non viene affermata la centralità del nostro "capitale umano". Ciò significa credere che l’investimento più vantaggioso che si possa fare è quello che riguarda istruzione, formazione, conoscenza. Fare in modo che possano sorgere nuove occasioni per la ricerca. Valorizzare la competenza, la concorrenza, il merito ad ogni livello. I partiti e le forze sociali ed economiche polesane devono assumersi oggi una responsabilità in più: è illusorio ritenere che questo cambiamento possa essere generato spontaneamente, "dal basso". Bisogna creare le condizioni affinché sia possibile produrre nuova classe dirigente a mezzo di classe dirigente, proprio partendo dal ruolo propulsivo del ceto politico e delle amministrazioni pubbliche, che dovranno essere in grado di aprirsi e collegarsi con le cosiddette minoranze attive, con i settori migliori e più competenti della società, rinunciando alle cooptazioni e agli "ingressi laterali". Un salto di mentalità epocale, forse, ma necessario per evitare la puntuale riproposizione di quel luogo comune che vuole il Polesine eterna terra di conquista per interessi in larga parte extra-polesani.

Lavorando su queste basi politiche e programmatiche sarà possibile riuscire a lavorare insieme per cercare di rafforzare il nostro partito e per affrontare le prossime scadenze elettorali con fiducia e con entusiasmo, aprendo una nuova prospettiva per Rovigo e per il Polesine. Ed è all'interno di questo scenario che si inserisce il ruolo di un partito che deve adoperarsi per costruire il proprio futuro, guardando decisamente in avanti, avendo il coraggio di lasciare definitivamente alle spalle le proprie divisioni interne e soprattutto tornando ad esprimere una politica più in sintonia con il territorio, una politica che possa effettivamente dare rappresentanza alla gente polesana e che sappia essere ancora una volta all'altezza delle sue migliori tradizioni.

martedì 26 ottobre 2010

Eroi della rivoluzione 2















Un vero cattivo post-moderno. Hank Scorpio, carismatico "deus ex machina" della Globex Corporation e fugace quanto indimenticabile apparizione nella serie "I Simpson". L'episodio originale è "You only move twice".

venerdì 1 ottobre 2010

Sicurezza
















Pochi mesi fa, il presidente francese Sarkozy perde rovinosamente le elezioni regionali e decide il suo “giro di vite” sulla sicurezza. L’obiettivo politico dichiarato della sua azione è quello di recuperare elettori a destra, sottraendoli all’astensionismo e ai neo-fascisti di Le Pen. Che fare, allora? La migliore scorciatoia, per Sarkozy, è stata quella di puntare in maniera spregiudicata sul “rimpatrio assistito” dei rom: sgomberare i loro poveri campi e poi spedirli in quelli che si presume essere i loro paesi di origine. Un gruppo da sempre marginale ma ben individuabile, debole e privo di sostegni, oggetto di pregiudizi, voci e “leggende” di vario segno, che allignano un po’ dappertutto nell’opinione pubblica. Si tratta di cittadini comunitari? Con queste azioni si calpestano i diritti umani e le normative europee? Pazienza. Nella società mediatica, spesso, ciò che conta maggiormente è l’effetto annuncio e non la volontà effettiva di risolvere un problema. Berlusconi docet. E infatti il governo italiano, nei giorni scorsi, sceglie di accodarsi alla sua sorella latina, nonostante lo sconcerto dei partner europei.

Una causa, quella dei rom, che evidentemente non ha mai suscitato troppe simpatie né troppe adesioni. E questo è un dato storico. Il termine Porajmos o Porrajmos indica lo sterminio delle popolazioni rom che fu organizzato dal regime nazista durante la Seconda guerra mondiale, ma è tuttora difficile stabilire con precisione quante furono le vittime: i principali studi oscillano tra i 200.000 e il milione e mezzo di morti. Nell’Italia fascista, rom e sinti furono imprigionati in vari campi di concentramento, da Bolzano fino alle isole Tremiti. Rom italiani e di altre nazionalità.

Nemmeno oggi lo spirito dei tempi sembra essere tanto più favorevole. Cerchiamo qualche esempio nella cronaca recente, anche in quella di casa nostra. L’International Labour Organization (ILO), l'agenzia per il lavoro delle Nazioni Unite, nel suo rapporto sull’applicazione delle “Convenzioni e Raccomandazioni internazionali” del del 2009, ha condannato l’Italia per il “clima di intolleranza esistente”, creato dai leader politici rei di usare una “retorica aggressiva e discriminatoria nell'associare i rom alla criminalità, creando così un sentimento di ostilità e antagonismo nell'opinione pubblica”.

Altro esempio. La Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza (ECRI), ha invitato l’Italia ad abbandonare il falso presupposto secondo cui i membri di tali gruppi siano nomadi: un presupposto con cui viene messa in atto “una politica di segregazione dal resto della società”, attraverso la creazione di “campi nomadi”, basati sul principio della presenza temporanea dei rom e privi dei servizi più elementari.

Il diritto alla sicurezza è qualcosa di essenziale per una democrazia. Altra cosa, tuttavia, è coltivare in modo sistematico il pregiudizio, fomentare sentimenti di ostilità o pensare di praticare l'esclusione di determinati gruppi, magari sulla base di argomentazioni apparentemente “democratiche” o paraumanitarie.

Ma è negando qualche casa popolare ai rom (vedi Milano) che saremo più sicuri?

La teoria politica ci dice altro di interessante. I sistemi democratici si sono fondati e si fondano anche mediante esclusioni, esclusioni che tuttavia ritornano ad "ossessionare" i sistemi che si sono edificati sulla loro assenza. Questa ossessione può diventare e spesso diventa politicamente decisiva quando cominciamo a fare i conti con il "ritorno dell'escluso", cioè quando l'escluso costringe ad una complessiva riarticolazione delle premesse della stessa democrazia. Questo vale per gli emarginati dal mercato, per le differenze di genere come per i rom: ogni ordinamento democratico sembra vivere di uno scarto tra una aspirazione universalista (incarnata nelle istituzioni democratiche e che tende ad annullare le differenze) e una congenita eccedenza, un di più, una esclusione che un filosofo ha definito la "parte dei senza parte".

Insomma, la crescente ossessione securitaria di larghi strati della nostra società, amplificata a dismisura dai mezzi di comunicazione e da una politica dissennata, mette in discussione i fondamenti del nostro vivere civile e chiama in causa l'essenza della nostra democrazia. L'unico modo per uscirne da sinistra è tornare a parlare il linguaggio dei diritti, senza ambiguità e senza rincorrere le facili posizioni di chi è alla ricerca del “capro espiatorio”.

venerdì 10 settembre 2010

El Diego



















"Los argentinos son italianos que hablan español y se creen franceses".

Allo scrittore Octavio Paz viene attribuita la seguente frase: "Gli argentini sono italiani che parlano spagnolo e si credono francesi".

Si calcola che metà della popolazione argentina sia di origine italiana.
Da questa evidenza storica ricaviamo un'altra conseguenza.

Maradona è un italiano che parla spagnolo e si crede... Dio (o si crede Fidel Castro?).

giovedì 9 settembre 2010

Segni dei tempi








Berlino.
Le statue del celeberrimo duo Marx-Engels vengono "sloggiate" per fare spazio alla nuova linea della metro.

mercoledì 8 settembre 2010

Controcorrente







Un interessante articolo di Nando Dalla Chiesa, uscito su "Il Fatto Quotidiano" del 18 agosto scorso.
Difficile non citarlo per esteso.

"Sarò onesto: non mi mancherà. Guai se la pietà per la morte offuscasse la memoria e il giudizio che la memoria (viva, ben viva) porta con sé. Non esisterebbe più la storia. E dunque, parlando di Francesco Cossiga, rifiuterò il metodo che gli fu alla fine più congeniale: quello di ricordare i morti diffamandoli, dicendo di loro cose dalle quali non potevano difendersi. Fidando nel fatto che i familiari una cosa sapevano con certezza: che se avessero osato replicargli lui avrebbe inventato altri episodi sconvenienti ancora e poi li avrebbe dileggiati, forte della sua passata carica istituzionale e della compiaciuta docilità con cui la stampa ospitava ogni sua calunnia. Fece così con Moro, con Berlinguer, con il generale dalla Chiesa. Fece così con altri. Era nato d’altronde un autentico genere giornalistico, l’intervista a Cossiga, che consisteva nel mettergli davanti un microfono o un taccuino e ospitare senza fiatare le sue allusioni, le sue bugie.

Da trasformare in rivelazioni storiche, provenienti dal loro unico e inesauribile depositario. Mi atterrò dunque ai fatti che tutti possono pubblicamente controllare. Perché ai tempi fui tra parlamentari che ne chiesero l’impeachement, anzitutto. Perché io il sistema politico di allora, quello che chiamavo il regime della corruzione, lo volevo cambiare per davvero. Ma per renderlo conforme alla Costituzione e a un decente senso delle istituzioni. Perciò mi scandalizzavo nel vedere un capo dello Stato giocare soddisfatto al picconatore, conducendo una massiccia attività di diseducazione civica. Quando poi Cossiga si mise alla testa della lotta contro i giudici, minacciando, lui presidente del Csm, di farlo presidiare militarmente dai carabinieri avvalendosi delle sue prerogative di Capo supremo delle Forze armate, pensai che la misura era colma. Che l’uomo esprimeva una cultura golpista e che era nella posizione istituzionale per tradurla in realtà politica.

Le chiavi di casa e i giudici ragazzini
Perché titolai la storia di Rosario Livatino “Il giudice ragazzino”. Esattamente in polemica con lui, che delegittimava i giovani magistrati che in Sicilia sfidavano la mafia. A questi giudici ragazzini non affiderei neanche le chiavi di una casa di campagna, aveva detto. E Livatino, morto a trentotto anni, aveva compiuto le sue prime coraggiosissime inchieste quando di anni ne aveva ventotto. Avevo imparato dai racconti di mio padre che quando si ha a che fare con la mafia chi ha un grado superiore protegge chi sta sul posto, ci passeggia insieme in piazza perché tutti capiscano. Che non è solo, che ha dietro lo Stato. Lui, capo dei magistrati, aveva invece umiliato sprezzantemente proprio i giudici più esposti negli anni della mattanza. Perchémi astenni, unico nel centrosinistra, sulla fiducia al primo governo D’Alema. Non per oltranzismo ulivista, ma perché non ero certo entrato in parlamento per fare un governo con Cossiga e con ciò che lui rappresentava nella vita del paese e nella mia vita personale. Il testo dell’intervento pronunciato in quell’occasione è agli atti. Allora mi valse richieste di interruzione da sinistra e qualche stretta di mano (tra cui quella di Gianfranco Fini). Perché l’ho spesso citato – ma non quanto avrei voluto – nei libri, negli articoli o negli interventi che avevano per oggetto la vicenda di mio padre.


Veleni attorno a un sacrificio
Perché ho sempre trovato maramaldo quello spargergli veleno intorno dopo il suo sacrificio. Non ho mai capito se fosse il seguito dell’isolamento che il sistema aveva inflitto al prefetto dopo l’ annuncio che sarebbe andato in Sicilia per combattere la mafia per davvero. Ricordo però con certezza che Cossiga iniziò a colpirne l’immagine in vista del maxiprocesso presentandolo con naturalezza come iscritto alla P2. I giudici che avevano indagato a Castiglion Fibocchi, Gherardo Colombo e Giuliano Turone, mi garantirono che loro nella lista quel nome non l’avevano trovato. Lui insisté contro ogni atto giudiziario e parlamentare (della storia ho reso i particolari su “In nome del popolo italiano”, biografia postuma di mio padre, nel 1997). Finché anni dopo ancora raccontò la sua pazzesca verità: per proteggere mio padre Colombo e Turone, giudici felloni, avevano strappato un foglio dall’elenco. Non smise mai di raccontarlo. Così come, per sminuire il lavoro di Giancarlo Caselli e di mio padre contro il terrorismo, sostenne un giorno, poco dopo l’avviso di garanzia per Andreotti a Palermo, che il vero merito del pentimento di Patrizio Peci fosse di un maresciallo delle guardie carcerarie di Cuneo. Costui venne da lì lanciato pubblicamente in orbita giornalistica e televisiva per seminare nuove e inverosimili calunnie su mio padre, alcune delle quali si sono ormai purtroppo depositate negli atti giudiziari (tra i quali rimane però anche, a Palermo, il testo della controaudizione da me richiesta).

Altro verrebbe da dire, dalla memoria di Giorgiana Masi uccisa in quella famigerata manifestazione del ‘77 zeppa di infiltrati in armi, al contrasto avuto con lui in Senato, dai banchi della Margherita, sui fatti della Diaz, che lui, sedicente garantista, avallò senza scrupoli. Come e più che con Giovanni Leone, che non ebbe comunque le sue colpe, avremo probabilmente un mieloso coro di elogi. Poiché l’uomo ha incarnato alla perfezione la qualità media della nostra politica questo è assolutamente naturale. Certo non si porterà nell’aldilà solo i segreti veri di questa Repubblica. Si porterà anche i segreti da lui inventati, le trame inesistenti fatte intravedere, le panzane spacciate per misteri. Riposi in pace, e che nessuno faccia a lui i torti che lui fece alle vittime della Repubblica".

venerdì 3 settembre 2010

Qualche proposta per il Pd






ABBOZZO DI UN MANIFESTO RIFORMISTA PER IL PD POLESANO

Il risultato delle ultime elezioni regionali consegna un quadro politico negativo al centrosinistra e al Partito democratico, a livello nazionale come in Polesine: al calo di consensi quasi generalizzato si unisce un diffuso senso di preoccupazione tra iscritti e militanti per le scadenze future e per le prospettive del partito nel suo complesso.

Come provare ad uscire da questa situazione? Ripartendo dalla politica. Oggi il Pd polesano è obbligato dalla propria “ragione sociale” a definire una chiara linea di alternativa: una linea di alternativa che, insieme ad una forte proposta politica, diversa dalle promesse e dagli slogan elettorali di Pdl e Lega e in grado di interloquire concretamente con la società civile, sappia tuttavia anche tracciare una cesura rispetto ad alcune scelte del recente passato e ridare speranza alla gente.

Per fare questo è davvero necessario un "cambio di passo", ma questo cambio di passo evocato da molti può avvenire soltanto sulla base di una netta opzione riformista, una opzione culturale e politica che il Pd deve fare propria senza ambiguità e senza incertezze e che implica, in qualche modo, una seria "revisione" di quanto avvenuto nei primi anni di vita del partito.

Scelta riformista come metodo e come valore, ma anche come unica opportunità per cercare di definire una credibile identità del progetto del Pd, una prospettiva unificante, oltre quella che è stata troppo spesso percepita, anche dal nostro elettorato, come una semplice giustapposizione di vecchie appartenenze e scuole politiche.

Di seguito elenchiamo dieci punti per la costruzione di questa proposta:

1. Cambiare e rinnovare la classe dirigente del Pd: una nuova generazione protagonista, nelle amministrazioni e nel partito, per radicare il Pd nel territorio e restituire la sovranità al singolo iscritto. Promuovere primarie e ampie consultazioni per le cariche elettive. Il Pd deve tornare ad essere un partito aperto, plurale e contendibile.

2. Meno presenza dei partiti, più trasparenza nelle società pubbliche: liberalizzare i servizi per liberare le energie della politica. Creare una anagrafe delle competenze e mettere il merito e la capacità al primo posto. Mettere al primo posto il cittadino-utente.

3. Lavorare per costruire una alternativa reale alla Lega e alle destre, ma senza ricadere nelle nostalgie e nelle trappole del “c’era una volta”. Il Pd deve essere un moderno partito di programma, che guarda in avanti, si attrezza per leggere la “società complessa” e presenta le proprie proposte a tutti i cittadini, sui temi che interessano ai cittadini. La battaglia si svolge anche e soprattutto sul terreno culturale: occorrono studio e riflessione, coinvolgimento e discussione. La partecipazione è la prima alternativa al modello di personalizzazione promosso dal Pdl, o alla retorica dei "duri e puri" portata avanti dai leghisti nostrani. Serve un partito orizzontale e inclusivo.

4. Riaffermare con decisione la laicità della politica: costruire un partito plurale e pluralista, un partito di centrosinistra in cui la differenza e le differenze siano un valore e non un ostacolo. Per questo il Pd non può essere un fragile compromesso tra cattolici e laici, ma deve saper affermare la laicità come valore positivo, come metodo di ricerca e di azione.

5. Riconoscere l’importanza del mercato e della concorrenza, contro ogni velleità dirigista, centralista, corporativista. Promuovere una cultura dell’efficienza e del merito. Valorizzare le individualità. Creare le condizioni per rafforzare il “capitale sociale” e il “capitale umano” del nostro territorio: scuola, formazione e università hanno un ruolo centrale. E occorre rilanciare il tema della formazione anche dentro il partito.

6. Riformismo non è un concetto astratto, né un ideale irraggiungibile: riformismo significa dare risposte concrete su problemi che si “chiamano” lavoro, diritti, ambiente, governo del territorio ecc. Significa adoperare le categorie e gli strumenti più adeguati ai problemi, significa saper parlare la lingua del proprio tempo.

7. Chiarezza e coerenza nelle alleanze politiche: ciò significa respingere l’idea di un partito che costruisca la propria linea politica in ambito locale guardando alle piccole convenienze o accodandosi ad altre forze politiche per conquistare spazi di mera sopravvivenza. L’obiettivo perseguito nelle amministrazioni locali deve essere quello di allargare l’area del consenso per il centrosinistra, ma in un quadro di chiarezza dei rapporti e di compatibilità amministrativa e politica.

8. Recuperare la vocazione maggioritaria del Pd: ciò significa immaginare un partito che assuma un ruolo centrale nell’arena politica, con la propria autonoma iniziativa, e che non deleghi a nessun altro soggetto politico la rappresentanza di interessi e di “pezzi” di società.

9. Un partito con una strategia. Quale modello di sviluppo per il Polesine e per il Veneto? Quali alleanze stabilire con i settori più dinamici e produttivi della società polesana? Oggi è necessario aprire un vero e serio confronto programmatico, che disegni il profilo di forza autonoma e di governo del Pd polesano. Appare impensabile uscire dalla crisi e tornare a crescere, specialmente per un territorio come quello polesano, troppo spesso schiacciato dalle priorità e dagli interessi di aree più forti, se non viene affermata la centralità del “capitale umano”. Ciò significa credere che l’investimento più vantaggioso che si possa fare è quello che riguarda istruzione, formazione, conoscenza. Fare in modo che possano sorgere nuove occasioni per la ricerca. Valorizzare la competenza, la concorrenza, il merito ad ogni livello. I partiti e le forze sociali ed economiche polesane devono assumersi oggi una responsabilità in più: è illusorio ritenere che questo cambiamento possa essere generato spontaneamente, “dal basso”. Bisogna creare le condizioni affinché sia possibile produrre nuova classe dirigente a mezzo di classe dirigente, proprio partendo dal ruolo propulsivo del ceto politico e delle amministrazioni pubbliche, che dovranno essere in grado di aprirsi e collegarsi con le cosiddette minoranze attive, con i settori migliori e più competenti della società, rinunciando alle cooptazioni e agli “ingressi laterali”. Un salto di mentalità epocale, forse, ma necessario per evitare la puntuale riproposizione di quel luogo comune che vuole il Polesine eterna “terra di conquista” per interessi… in larga parte extra-polesani.

10. Guardare al centro: significa guardare a quello che si muove nella società, significa provare ad intercettare le categorie e i settori più dinamici della nostra società, non limitarsi alle schermaglie con l'Udc o con altri partiti. Il Pd vuole provare ad assumere un ruolo centrale nella politica e nella società? Vuole essere un partito che governa e promuove il cambiamento, o si limita a subirlo?