
ABBOZZO DI UN MANIFESTO RIFORMISTA PER IL PD POLESANO
Il risultato delle ultime elezioni regionali consegna un quadro politico negativo al centrosinistra e al Partito democratico, a livello nazionale come in Polesine: al calo di consensi quasi generalizzato si unisce un diffuso senso di preoccupazione tra iscritti e militanti per le scadenze future e per le prospettive del partito nel suo complesso.
Come provare ad uscire da questa situazione? Ripartendo dalla politica. Oggi il Pd polesano è obbligato dalla propria “ragione sociale” a definire una chiara linea di alternativa: una linea di alternativa che, insieme ad una forte proposta politica, diversa dalle promesse e dagli slogan elettorali di Pdl e Lega e in grado di interloquire concretamente con la società civile, sappia tuttavia anche tracciare una cesura rispetto ad alcune scelte del recente passato e ridare speranza alla gente.
Per fare questo è davvero necessario un "cambio di passo", ma questo cambio di passo evocato da molti può avvenire soltanto sulla base di una netta opzione riformista, una opzione culturale e politica che il Pd deve fare propria senza ambiguità e senza incertezze e che implica, in qualche modo, una seria "revisione" di quanto avvenuto nei primi anni di vita del partito.
Scelta riformista come metodo e come valore, ma anche come unica opportunità per cercare di definire una credibile identità del progetto del Pd, una prospettiva unificante, oltre quella che è stata troppo spesso percepita, anche dal nostro elettorato, come una semplice giustapposizione di vecchie appartenenze e scuole politiche.
Di seguito elenchiamo dieci punti per la costruzione di questa proposta:
1. Cambiare e rinnovare la classe dirigente del Pd: una nuova generazione protagonista, nelle amministrazioni e nel partito, per radicare il Pd nel territorio e restituire la sovranità al singolo iscritto. Promuovere primarie e ampie consultazioni per le cariche elettive. Il Pd deve tornare ad essere un partito aperto, plurale e contendibile.
2. Meno presenza dei partiti, più trasparenza nelle società pubbliche: liberalizzare i servizi per liberare le energie della politica. Creare una anagrafe delle competenze e mettere il merito e la capacità al primo posto. Mettere al primo posto il cittadino-utente.
3. Lavorare per costruire una alternativa reale alla Lega e alle destre, ma senza ricadere nelle nostalgie e nelle trappole del “c’era una volta”. Il Pd deve essere un moderno partito di programma, che guarda in avanti, si attrezza per leggere la “società complessa” e presenta le proprie proposte a tutti i cittadini, sui temi che interessano ai cittadini. La battaglia si svolge anche e soprattutto sul terreno culturale: occorrono studio e riflessione, coinvolgimento e discussione. La partecipazione è la prima alternativa al modello di personalizzazione promosso dal Pdl, o alla retorica dei "duri e puri" portata avanti dai leghisti nostrani. Serve un partito orizzontale e inclusivo.
4. Riaffermare con decisione la laicità della politica: costruire un partito plurale e pluralista, un partito di centrosinistra in cui la differenza e le differenze siano un valore e non un ostacolo. Per questo il Pd non può essere un fragile compromesso tra cattolici e laici, ma deve saper affermare la laicità come valore positivo, come metodo di ricerca e di azione.
5. Riconoscere l’importanza del mercato e della concorrenza, contro ogni velleità dirigista, centralista, corporativista. Promuovere una cultura dell’efficienza e del merito. Valorizzare le individualità. Creare le condizioni per rafforzare il “capitale sociale” e il “capitale umano” del nostro territorio: scuola, formazione e università hanno un ruolo centrale. E occorre rilanciare il tema della formazione anche dentro il partito.
6. Riformismo non è un concetto astratto, né un ideale irraggiungibile: riformismo significa dare risposte concrete su problemi che si “chiamano” lavoro, diritti, ambiente, governo del territorio ecc. Significa adoperare le categorie e gli strumenti più adeguati ai problemi, significa saper parlare la lingua del proprio tempo.
7. Chiarezza e coerenza nelle alleanze politiche: ciò significa respingere l’idea di un partito che costruisca la propria linea politica in ambito locale guardando alle piccole convenienze o accodandosi ad altre forze politiche per conquistare spazi di mera sopravvivenza. L’obiettivo perseguito nelle amministrazioni locali deve essere quello di allargare l’area del consenso per il centrosinistra, ma in un quadro di chiarezza dei rapporti e di compatibilità amministrativa e politica.
8. Recuperare la vocazione maggioritaria del Pd: ciò significa immaginare un partito che assuma un ruolo centrale nell’arena politica, con la propria autonoma iniziativa, e che non deleghi a nessun altro soggetto politico la rappresentanza di interessi e di “pezzi” di società.
9. Un partito con una strategia. Quale modello di sviluppo per il Polesine e per il Veneto? Quali alleanze stabilire con i settori più dinamici e produttivi della società polesana? Oggi è necessario aprire un vero e serio confronto programmatico, che disegni il profilo di forza autonoma e di governo del Pd polesano. Appare impensabile uscire dalla crisi e tornare a crescere, specialmente per un territorio come quello polesano, troppo spesso schiacciato dalle priorità e dagli interessi di aree più forti, se non viene affermata la centralità del “capitale umano”. Ciò significa credere che l’investimento più vantaggioso che si possa fare è quello che riguarda istruzione, formazione, conoscenza. Fare in modo che possano sorgere nuove occasioni per la ricerca. Valorizzare la competenza, la concorrenza, il merito ad ogni livello. I partiti e le forze sociali ed economiche polesane devono assumersi oggi una responsabilità in più: è illusorio ritenere che questo cambiamento possa essere generato spontaneamente, “dal basso”. Bisogna creare le condizioni affinché sia possibile produrre nuova classe dirigente a mezzo di classe dirigente, proprio partendo dal ruolo propulsivo del ceto politico e delle amministrazioni pubbliche, che dovranno essere in grado di aprirsi e collegarsi con le cosiddette minoranze attive, con i settori migliori e più competenti della società, rinunciando alle cooptazioni e agli “ingressi laterali”. Un salto di mentalità epocale, forse, ma necessario per evitare la puntuale riproposizione di quel luogo comune che vuole il Polesine eterna “terra di conquista” per interessi… in larga parte extra-polesani.
10. Guardare al centro: significa guardare a quello che si muove nella società, significa provare ad intercettare le categorie e i settori più dinamici della nostra società, non limitarsi alle schermaglie con l'Udc o con altri partiti. Il Pd vuole provare ad assumere un ruolo centrale nella politica e nella società? Vuole essere un partito che governa e promuove il cambiamento, o si limita a subirlo?
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