domenica 13 giugno 2010

Tocqueville e la liberaldemocrazia italiana








Il pensiero di Alexis de Tocqueville, "liberale di tipo nuovo" e grande teorico ottocentesco della democrazia, ha conosciuto nel corso del Novecento (il "secolo delle ideologie") periodi di fortuna, ma anche significative eclissi: una valutazione di fondo che, in qualche modo, può riguardare anche il panorama politico e culturale del nostro Paese. Sarà comunque dopo la Seconda Guerra mondiale che si assisterà ad una progressiva "riscoperta" del pensatore francese e delle sue opere maggiori, legata per buona parte alle analisi e alle profezie della Democrazia in America.
Nell'immediato dopoguerra, Tocqueville viene dunque riscoperto anche in Italia e sembra diventare il pensatore di riferimento di un'area politica, sempre limitata da un punto di vista elettorale, ma di grande influenza nella scena pubblica, quella della cosiddetta sinistra liberale che si raccoglierà intorno alla figura di Mario Pannunzio e al "Mondo", settimanale ideato e diretto dall'intellettuale lucchese dal 1949 al 1966. Sarà questo lo stesso gruppo che negli anni Cinquanta darà vita al nuovo Partito radicale e al tentativo di organizzare politicamente una "terza forza" laica e riformista tra il partito cattolico e le sinistre di ispirazione marxista.

Già nel 1943, sei anni prima della nascita del "Mondo", Mario Pannunzio scrive un saggio dal titolo rivelatore: Le passioni di Tocqueville. Non si tratta di una momentanea infatuazione intellettuale. L'Italia è ancora divisa in due dalla guerra, sfumate e incerte rimangono le prospettive politiche, ma Tocqueville è l'oggetto di una intensa riflessione, non scevra di considerazioni originali e di parallelismi con la realtà italiana del tempo (l'Italia fascista e la Francia di Napoleone III). Nella sua recente biografia pannunziana, lo storico Massimo Teodori insiste sul carattere profondamente autobiografico di questo scritto, quasi che Pannunzio nel descrivere i tratti fondamentali della personalità e dell'opera di Tocqueville cercasse anzitutto di trovare puntualmente confermate e di rispecchiare le proprie passioni intellettuali, le proprie opinioni su libertà e democrazia, addirittura il proprio atteggiamento nei confronti della politica e della vita. L'unico saggio storico-politico di Pannunzio sarebbe dunque il frutto di una lunga e solitaria meditazione, intrecciata alle riflessioni di Croce, De Ruggiero, Omodeo, Candeloro, Bryce, Sainte-Beuve, ma soprattutto un contributo che richiede al lettore più avvertito e allo storico interessato un'opera di decifrazione, una opportuna "doppia lettura", al punto che le passioni di Tocqueville identificano le passioni del giovane Pannunzio, anticipano l'enunciazione di una precisa mappa di valori (laicità, amore per la libertà "regolare e moderata", anti-totalitarismo) e un programma politico "in fieri", seppure già teso a delineare il profilo di un liberalismo democratico, europeo, radicale.
L'autore della Democrazia in America non è tuttavia esclusivo appannaggio del futuro direttore del "Mondo", ma risulta tra i costanti stimoli culturali del gruppo della sinistra liberale che confluirà nel nuovo settimanale, come ad esempio ricorda Eugenio Scalfari in quel singolare ritratto dei "liberal" italiani del dopoguerra che è racchiuso nelle pagine di La sera andavamo in via Veneto ("Montesquieu, Voltaire, Tocqueville, pur nelle grandissime differenze esistenti tra di loro, furono per noi un punto di riferimento unitario: l'indicazione della nuova sovrastruttura costituzionale, la distinzione dei poteri e anzi la teorizzazione dei contropoteri, il primo; il libertinaggio intellettuale, la dissacrazione dei tabù e la critica di ogni chiesa e di ogni setta, il secondo; la comprensione storica dei processi evolutivi e anzi la concezione della storia come processo, il terzo"). A conclusione di questa parabola, vedremo come al principio degli anni Sessanta il giovane filosofo Vittorio De Caprariis, tra le figure più autorevoli del "Mondo", scomparso nel 1964, a nemmeno quarant'anni, potrà dedicare proprio a Mario Pannunzio il suo Ritratto di Tocqueville, raccolta di saggi che contengono un'interpretazione originale del pensatore francese, una sorta di testamento spirituale e di itinerario politico-filosofico tuttora utilissimo per provare a comprendere in che modo si guardasse alla preziosa eredità tocquevilliana e, cosa per noi ancor più interessante, come si potesse cercare di trarne spunti e suggestioni per una compiuta diagnosi della realtà italiana del dopoguerra, all'alba del centro-sinistra e di nuovi equilibri.

Perché Tocqueville? Non siamo di fronte, o almeno non completamente, ad una diretta filiazione del magistero crociano, pur così determinante per le vicende complessive del "Mondo". Benedetto Croce, autentico "filosofo di bandiera" dei liberali italiani scrive pagine ammirate sul "ponderato ed equo gentiluomo" Tocqueville, ma il pensatore francese non sembra mai essere davvero al centro delle sue riflessioni, tanto meno in materia di politica. E tuttavia per molti di questi nuovi liberali e democratici Tocqueville appare come l'autore che più di altri consente di problematizzare il nesso decisivo tra libertà e uguaglianza nelle società democratiche, di prendere in esame in modo non ideologico né prevenuto pregi e difetti della democrazia nel mondo contemporaneo e, soprattutto, di dare un nuovo respiro europeo al liberalismo italiano. Si tratta di uscire dal recinto angusto di un liberalismo "di classe", di reinventare una cultura e una tradizione politica che erano state travolte dal fascismo e che ora necessitano di nuovi strumenti per poter adeguatamente interpretare il contesto repubblicano e incidere nelle sue grandi questioni. "Il Mondo" diventa ben presto il polo attrattivo e il centro propulsore di un liberalismo riformatore, di un progetto politico e culturale che sul piano pratico guarda all'esempio delle democrazie anglo-sassoni, a Beveridge e al New Deal rooseveltiano e che, distanziandosi dalle posizioni sempre più conservatrici e "di destra" del Pli, cercherà di raccogliere intorno a sé quell'Italia "dei laici" di cui parlerà Giovanni Spadolini, quella frammentata e composita galassia formata da liberali di sinistra, repubblicani, radicali, azionisti, socialisti democratici e autonomisti. Con Benedetto Croce, Gaetano Salvemini è l'altro grande riferimento morale e intellettuale del "Mondo" e delle sue battaglie politiche, anche se, come è stato giustamente notato, il settimanale non fu mai un "organo dalla marcata impronta ideologica o filosofica" e la sua cultura politica fu più concretamente esito non predefinito di un percorso di ricerca plurale e stratificato, "amalgama di successo che prendeva forma da un modo pragmatico di guardare alle realtà secondo l'ottica del liberalismo laico e riformatore". Lotta contro i monopoli e le rendite parassitarie, lotta contro l'incipiente deriva della partitocrazia, rilancio della questione meridionale come grande questione di interesse nazionale, impegno per una stagione di riforme sostanziali della pubblica amministrazione e degli apparati statali, della scuola e dell'università, dell'urbanistica e dell'attività borsistica ecc. Di formazione salveminiana è, ad esempio, Ernesto Rossi, intellettuale e protagonista dell’antifascismo che sarà tra i principali fautori della linea economica del "Mondo", nel nome di un liberalismo progressista che, se da un lato rimarrà critico feroce delle inefficienze e del burocratismo del capitalismo pubblico "all'italiana", dall'altro si distanzia dalle posizioni di un liberismo puro come quello di marca einaudiana, considerando la riforma dello stato come necessaria premessa per un rinnovato impegno della mano pubblica in alcuni settori nevralgici per la vita del Paese.

In questa medesima ottica, Tocqueville non assume soltanto il ruolo di "nume tutelare" della terza forza riformista, soprattutto della parte di estrazione liberale, ma è anche il diretto ispiratore di una nuova concezione del liberalismo, che abbandona le tentazioni e le tradizioni più conservatrici e si fa "radicale", individuando nella filosofia della libertà del pensatore francese un metodo di ricerca e un criterio opportuno per rinnovare in profondità la politica e la società. In particolare, se guardiamo alle posizioni espresse dallo stesso Pannunzio e da una figura come quella del filosofo Vittorio De Caprariis, il riferimento al pensiero di Tocqueville sembra essere un punto di snodo per arrivare a definire i contorni di un riformismo liberale possibile, di una strategia politica e culturale modernizzatrice elaborata nel nome di un compiuto modello di democrazia liberale, stabilmente agganciato all’Occidente. Vittorio De Caprariis, nato nel 1924, ebbe come maestri Adolfo Omodeo e Benedetto Croce e accompagnò la sua attività di giovane e brillante docente universitario, a Napoli e Messina, con un impegno culturale che non fu mai disgiunto da una genuina vocazione politica, espressa nella partecipazione all'avventura del "Mondo" e nella fondazione della rivista meridionalista "Nord e Sud". Del 1961 è il suo Ritratto di Tocqueville, che comparirà per la prima volta in volume nel '63. Testo emblematico, come si è accennato in precedenza, anche perché in questa ricerca la lucida meditazione sull'autore della Democrazia in America si intreccia più o meno apertamente ad una linea di riflessione che non perde mai completamente di vista i problemi italiani. Partendo da quella che De Caprariis evidenzia come l'intuizione tocquevilliana fondamentale: nel mondo moderno la libertà può sopravvivere "come fatto politico" soltanto incarnandosi nelle forme della democrazia. Rispetto ad altri celebrati autori della famiglia liberale, Tocqueville suggerisce che la democrazia è anzitutto un problema di educazione al "gusto per la libertà", è un problema di cultura, di costumi, di carattere nazionale, di vitalità politica, prima ancora di identificare un sistema di regole e procedure giuridiche, un quadro esatto di pesi e contrappesi istituzionali. Solo la libertà politica e civile può assicurare il raggiungimento del benessere materiale ai cittadini delle democrazie e solo una ricca articolazione pluralistica di associazioni, di corpi intermedi, di "autonomie" ad ogni livello può consentire il pieno dispiegamento di questa libertà, nonché dei diritti che essa naturalmente promuove e garantisce. Pluralismo associativo che educa alla libertà e che previene alcuni dei rischi mortali per la società moderna: l'accentramento politico e amministrativo, la degenerazione dispotica, quella strana commistione di pulsioni autoritarie e rassegnazione civica che può albergare nel cuore stesso della democrazia e tornare a manifestarsi sottilmente ma anche con virulenza, magari come "tirannia della maggioranza" favorita dal declino progressivo dello spirito associazionistico tra i cittadini. Il Tocqueville che esalta la partecipazione civica degli americani e rifiuta di identificare liberalismo e individualismo, lo ricorda ancora De Caprariis nel suo Ritratto, compie un'altra scoperta originale e importante: una scoperta che contravviene ad una lunga tradizione di filosofia politica occidentale nemica del "mutamento" (tra le poche eccezioni: Machiavelli) e secondo cui la mobilità sociale è piuttosto da assumere come un fattore decisivo per il buon funzionamento dei sistemi democratici. La mobilità incessante delle società democratiche è "una spinta possente verso il progresso materiale e intellettuale, una spinta che imprime a tutto il corpo sociale un'attività che nessun altro regime potrebbe creare. (...) Questo tipo di instabilità, rispettando i principi generatori della società, si traduce in impeto creatore, energia operativa, genera, finalmente, gli anticorpi capaci di annullare o attenuare i pericoli che corre la società tutta intera". Questa sottolineatura di De Caprariis, riportata all'analisi delle democrazie contemporanee, e con ogni probabilità anche al particolare caso italiano, implica come diretta conseguenza la necessità, per un liberalismo che si qualifichi come "moderno" e "progressista", di pensarsi come una filosofia politica strettamente connessa ad un coerente ed organico disegno di riforme, in grado di tradurre sul piano politico e istituzionale quel moto permanente che anima le società democratiche e ne costituisce una delle cause generatrici, prevenendo involuzioni del sistema e deviazioni estremistiche. Non è certamente un caso che De Caprariis dedichi un significativo passaggio del suo Ritratto proprio al Tocqueville che, negli anni Quaranta del XIX secolo, affidava il progetto politico liberale e riformatore al giornale "Le Commerce", intendendo raccogliere intorno a tale iniziativa gli uomini e le idee per poter realizzare finalmente una "terza forza", l'embrione di un nuovo partito alternativo alle forze egemoni di destra e di sinistra. Anche per la Francia di metà Ottocento, la "salvezza poteva venire solo da un terzo partito, che fosse capace di 'usare in altro modo le istituzioni' e di compiere quel certo numero di riforme che garantissero una graduale attuazione del regime democratico".

Bibliografia di riferimento

Giuseppe Bedeschi, La fabbrica delle ideologie. Il pensiero politico nell’Italia del Novecento, Laterza, Roma-Bari, 2002

Vittorio De Caprariis, Ritratto di Tocqueville, Guida, Napoli, 1996

Antonio Jannazzo, Il liberalismo italiano del Novecento. Da Giolitti a Malagodi, Rubbettino, Soveria Mannelli (Cz), 2003

Massimo Teodori, Pannunzio. Dal “Mondo” al Partito radicale: vita di un intellettuale del Novecento, Mondadori, Milano, 2010

Massimo Teodori, Storia dei laici nell’Italia clericale e comunista, Marsilio, Venezia, 2008

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