
Ho tra le mani il saggio di Francesco Jori, "Dalla Liga alla Lega. Storia, movimenti, protagonisti" (Marsilio, Venezia, 2009). Il fenomeno della Lega Nord ha dato vita, nel corso degli ultimi anni, ad una serie di ricerche e di contributi di vario segno che si sono posti l’obiettivo di ricostruire la “genealogia” politica e ideale di una forza che, nata come formazione anti-sistema, è diventata il partito più “vecchio” tra quelli che attualmente siedono in Parlamento, spesso rinnovandosi o reinventandosi tatticamente a seconda delle esigenze e della fase particolare vissuta, ma anche mantenendo ben salda la propria identità e scegliendo di non alterare mai troppo i tratti del proprio discorso fondamentale. Un interesse pubblicistico e scientifico che, superato un primo momento in cui si era forse più sensibili ad aspetti “folkloristici” o ad elementi contingenti, si collega non soltanto all’interpretazione dei lusinghieri risultati elettorali delle più recenti consultazioni, ma anche alla necessità di indagare il peculiare modello di partito che la Lega ha rappresentato dagli anni Novanta ad oggi, il tipo di insediamento territoriale e la sua maniera di evocare tutto un insieme di questioni diventate assai rilevanti per il dibattito pubblico nazionale, dal federalismo alla crisi della rappresentanza e delle categorie politiche tradizionali, dal governo dell’immigrazione alla riforma dello stato e della pubblica amministrazione ecc.
Il sociologo Ilvo Diamanti, nella sua prefazione, evidenzia l’originalità di questo nuovo saggio di Francesco Jori, che sembra consistere in alcuni punti specifici: anzitutto Jori guarda alla storia della Lega partendo dalla “Liga”, cioè dall’ottica di quel movimento regionalista che, in Veneto, cominciò a riscuotere i primi significativi consensi già all’alba degli anni Ottanta (in questo stesso periodo il potente leader doroteo della Democrazia cristiana, il polesano Toni Bisaglia, sarà tra i primi a cogliere il carattere di non effimera novità del fenomeno delle leghe, dichiarando tra le altre cose: “Per lo sviluppo effettivo delle potenzialità del Veneto, l’ostacolo principale è nella visione centralistica che ancora prevale in Italia; centralista e burocratica. Se ciò fosse possibile, direi che il Veneto sarebbe pronto a partecipare a uno Stato federale. Ma l’Italia non sarebbe pronta... lo Stato ne ha paura”. Nasce così l’idea di una Liga-Lega destinata a raccogliere il bacino elettorale dell’area democristiana e moderata, radicalizzando temi e posizioni di fronte all’incipiente crisi della cosiddetta “prima repubblica”). Il secondo elemento di originalità del saggio risiede nella volontà di ricordare al lettore e dimostrare conseguentemente, ribaltando un luogo comune, come il leghismo veneto sia stato storicamente tutt’altro che una diretta, indolore, posteriore filiazione di quello lombardo o qualcosa di simile ad un rilevante serbatoio di voti rimasto abbastanza periferico nelle grandi strategie politiche. Il Veneto “era e resta la regione dove la Lega è più forte, da sempre. Anche oggi”.
E soltanto ripartendo da questo dato di fondo e dal contesto veneto - terzo spunto importante fornito da Jori - si potrà seguire l’evoluzione del partito di Bossi, diventato Lega “d’ordine”, soggetto chiamato ad intercettare attraverso la sua classe dirigente (Zaia, Tosi, Gentilini ecc.) una doppia domanda proveniente dal territorio: la domanda di sicurezza, che emerge prepotentemente di fronte alla precarietà economica e sociale creata dalla globalizzazione, e quella di maggiore autogoverno locale, contro le lentezze e le inefficienze ormai sclerotizzate della burocrazia statale. Infine, lo sguardo dell’autore consentirà, come ricorda ancora Diamanti, di analizzare e comprendere più chiaramente in che misura il modello della Lega Nord, il modello di un partito radicato e visibile, di militanti e di militanza, potrà affermarsi oltre i propri tradizionali confini padani e pedemontani, presentandosi come forza di governo anche in quei territori del Nord e del Centro attualmente orfani di un partito “pesante” come il vecchio Pci e tuttavia caratterizzati da una struttura della società molto vicina a quella del mitico Nordest, della piccola e piccolissima impresa. In queste pagine, prive di verità precostituite, ma anche di pregiudizi, Francesco Jori ricostruisce con attenzione una parabola trentennale, intrecciando una cronaca di eventi e di personaggi apparentemente più minuta con una vicenda che oggi, di fatto, incrocia in modo non transitorio, né probabilmente casuale, il futuro di un intero Paese.
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