martedì 29 giugno 2010

Eroi della rivoluzione















Inauguriamo una nuova "rubrica"...


Nome: Calimero

Tendenza politica: socialista libertario

Note biografiche: figlio di Nino Pagot e di una gallina padovana. Intellettuale cosmopolita. Animatore della contestazione extraparlamentare. Ispiratore di vari movimenti terzomondisti e veneto-animalisti. Autore di "In classe con Calimero" e "In viaggio con Calimero".

Frasi celebri: “E’ un’ingiustizia, però!”

Come è andata a finire: dopo essere stato venduto ai servizi segreti dalla spia tristemente nota con il nome in codice di “Olandesina”, emigra in Giappone insieme a Cristina d’Avena.
Prosciolto da ogni accusa di sovversione, ritorna in Italia soltanto negli anni Ottanta e, dopo una fugace parentesi all’interno di una comunità Hare Krishna, si candida senza successo alle elezioni politiche nelle liste di Democrazia Proletaria, al secondo posto dietro Paolo Villaggio. Attualmente tiene seminari su Marcuse in una università privata, collaborando con gli antichi compagni Piero e Valeriano.

venerdì 25 giugno 2010

Dialoghi filosofici...










Dialoghi filosofici... e facezie, che in questo ameno luogo virtuale il sottoscritto umilmente vi propone, senza pensare troppo all'Italia di oggi e alla qualità dell'informazione, alla manipolazione delle coscienze e agli scioperi sediziosi, alla democrazia e agli operai di Pomigliano (e alla nazionale di ieri, no, proprio no...). Nella foto sopra, comunque, potete ammirare l'immarcescibile anchorman Kent Brockman (vero nome Kenny Brocklestein) in predicato, secondo fonti bene introdotte negli ambienti che contano, di diventare nuovo direttore "di garanzia" del Tg1.

[Casa Simpson. Tutta la famiglia in sala attorno a divano e TV. Homer con una Duff in mano, Bart in mutande]

Marge: non capisco il perché ma non mi sentivo a mio agio finchè non sono tornata qui a Nuova Springfield con i miei simili.

Lisa: maa…

Marge: mi guardavano… con i loro occhi!

[Alla TV il telegiornale di Canale 6. L’immagine alle spalle di Kent Brockman raffigura monte con la scritta “Springfield una città divisa"]

Kent Brockman: l’audace esperimento di Nuova Springfield di avere un regime da coattoni [intanto sullo sfondo appare una foto di repertorio di Homer, Lenny, Carl e Boe vestiti appunto da coatti] si è rivelato un vero disastro.

Homer [smettendo di bere dalla lattina di Duff]: ehy! L’uomo TV sta parlando di noi eh?

Kent Brockman: alcuni studi dimostrano che la loro economia scatafatiscente è dovuta a pigrizia e svogliatezza.

Homer: come cacchio hanno fatto a scoprirlo?

Kent Brockman: gli scienziati dicono anche che sono fisicamente meno attraenti e mentre noi parliamo in modo garbato loro tendono ad usare espressioni terra a terra come “adi ghi” e “viè ‘n bo’ qui”

Homer: ah si? Si credono migliori di noi eh? Bart viè ‘n bo’ qui! [indicando il figlio]

Bart: viè ‘n bo’ qui te!

Homer: adi ghi… [minacciando Bart con un pugno]

martedì 22 giugno 2010

Ripartire dai circoli








In questi giorni le assemblee di circolo del Pd polesano stanno discutendo, tra le altre cose, un documento sull'organizzazione del partito che è stato elaborato nei mesi scorsi dal sottoscritto insieme ad un "gruppo di lavoro" formato dai "compagni e amici" Andrea Galdiolo (Loreo), Lorenzo Masarà (Rovigo), Marco Martini (Ficarolo), Claudio Ramazzina (Stienta), Arnaldo Vallin (Rovigo). Chi vivrà, vedrà...

Introduzione

Questa conferenza organizzativa dei circoli del Pd polesano vuole segnare un momento di riflessione sullo stato e sulle prospettive del nostro partito e un possibile momento di rilancio, di apertura, di dialogo con il nostro territorio, in tutte le sue articolazioni e in tutte le sue peculiarità: abbiamo di fronte una serie di appuntamenti fondamentali, a cominciare dalle elezioni regionali della prossima primavera, che ci vedranno tutti impegnati in una dura sfida.

Abbiamo deciso di preparare questa conferenza, non soltanto per avere una occasione in cui poter presentare alcune idee o indicazione particolari, ma per aprire uno spazio nuovo e un utile confronto con chi è disponibile a discutere sul futuro, sul ruolo che pensiamo e vogliamo abbia il nostro partito negli anni a venire. Si tratta di un primo tentativo di dare voce ai circoli, di dare voce al “territorio”, avviando un itinerario comune di confronto e di discussione che vuole riflettere sullo stato attuale del partito, sul tipo di partito che vogliamo contribuire a creare, sul suo modello di organizzazione e di radicamento.

Questo è l’inizio di un percorso: si tratta di una tappa importante, ma è soltanto l’avvio di un itinerario che immaginiamo di poter condividere con i circoli nei prossimi mesi, con altri appuntamenti e momenti di incontro e partecipazione, ma soprattutto con un congresso sullo sfondo – un congresso provinciale che porterà al naturale ricambio degli organismi dirigenti e consegnerà anche queste nostre indicazioni per il futuro, nonché l'esito di un dibattito “aperto” e non concluso.

Il partito e i circoli

Dalle primarie del 2007 in avanti, i primi due anni di vita del Pd sono stati contrassegnati da campagne elettorali (politiche e amministrative), nonché da momenti di scontro politico molto aspro: ciò ha determinato che la “macchina” del partito fosse principalmente impegnata nella contesa elettorale, nella presentazione dei propri programmi e dei propri candidati, nell'amministrazione di enti e comuni, nella proiezione della propria attività verso l'esterno. E' mancata finora la necessaria riflessione sulle modalità e sugli strumenti che potrebbero permettere di costruire una rinnovata organizzazione di questa stessa “macchina” (nella nostra provincia sono 60 i circoli, per un totale di circa 3.300 iscritti nel 2009).

L'ultimo congresso nazionale del Pd, conclusosi con l'elezione di Pierluigi Bersani alla segreteria, è stato attraversato da un largo dibattito sul tipo di partito da costruire, partendo da una comune consapevolezza dei diversi candidati e delle rispettive mozioni: l'insufficienza di quanto realizzato fino ad oggi e l'esigenza di dare vita ad una forza presente capillarmente sul territorio, presente in maniera fisica, tangibile, ma anche in grado di valorizzare nuove forme di partecipazione alla vita collettiva. Un esempio su tutti: il ruolo delle primarie e il rapporto tra sovranità dell'iscritto e partecipazione dell'elettore. Si è trattato di un confronto positivo, plurale, “vero”, che ha interessato migliaia e migliaia di militanti e di elettori, rendendo evidente forse che la questione della forma-partito rimaneva un “nervo scoperto”.

A questo dibattito il Polesine non è stato certo estraneo. Dai circoli, in particolare, è giunta in molti casi una spinta ad riflessione sul partito, ed è giunta altresì una forte richiesta di coinvolgimento, di formazione e di maggiore circolarità nelle informazioni. Oggi diventa per noi indispensabile tematizzare lo stato del partito e renderci conto che, senza una chiara percezione della questione, i circoli rischiano di rimanere un potenziale in larga misura inespresso e il nostro partito troppo simile a modelli burocratici, gerarchici, “novecenteschi” ecc.

E’ proprio dal Partito democratico che dobbiamo ripartire per costruire un progetto di governo e una alternativa alle destre di Pdl e Lega: dobbiamo cioè recuperare uno spirito rivolto al cambiamento, coerente con le ragioni che hanno portato al superamento di Ds e Margherita e alla nascita del Partito democratico più di un anno fa. Come ha scritto lo studioso Michele Salvati: “Il Partito democratico può dare vita a un modello di partito che risponda a requisiti rigorosi di democrazia e trasparenza, un partito nei confronti del quale nessuno possa affermare credibilmente ciò che oggi si sente dire di tutti i partiti: ‘non ci sono differenze tra destra e sinistra’, ‘i capi fanno quello che vogliono’, ‘nei posti che contano non mettono le persone competenti, ma gli amici’”.

Un partito – aggiungiamo – che è nato non per essere una sigla tra le altre sigle del mercato elettorale, ma per dare un chiaro segnale di discontinuità rispetto a vecchi modi e vecchi metodi della politica tradizionale, per avvicinare alla politica persone che fino ad oggi non hanno visto nei partiti tradizionali dei luoghi nei quali poter impegnarsi attivamente; un partito che è nato per dare una casa comune ai riformisti e ai progressisti, per unire il meglio delle culture politiche e delle storie che hanno edificato la democrazia in questo Paese. Le potenzialità sono enormi, le attese e le aspettative sono molteplici, e deve essere chiaro che pure a Rovigo è necessario aprire una nuova fase, una nuova storia, che vede nel prossimo appuntamento elettorale uno sbocco assai significativo, ma che non vuole arrestarsi alla semplice corsa elettorale per i Comuni o per la Regione.

Il nostro obiettivo deve essere più ambizioso: abbiamo il dovere di creare le condizioni perché il Pd continui ad essere il partito guida di questo territorio per i prossimi anni, un luogo di elaborazione politica e culturale. Non possiamo infatti candidarci a gestire l’ordinario, a “vivere alla giornata”, né possiamo limitarci a coltivare un ideale astratto di “buona amministrazione”. Una forza come la nostra deve essere consapevole che l’orizzonte in cui viviamo è molto più largo, molto più complesso – deve avere delle idee e deve sapere come riuscire a praticarle, attrezzandosi politicamente e culturalmente e raccogliendo le sfide più impegnative, abituandosi o riabituandosi anche a “pensare in grande”. Il futuro della nostra provincia deve essere pensato proprio qui, in Polesine, e non può essere l’esito di strategie e di visioni che vengono formulate altrove; sarà un futuro la cui costruzione andrà necessariamente motivata, argomentata, “qualificata”, puntando sulle idee migliori, sulle competenze e sulle capacità di elaborazione progettuale che esistono – e sono molte – anche in loco.

Ciò implica un ragionamento forte intorno alla presenza e alla struttura del Pd: un partito capace di essere forza di governo e di proposta, ma anche di essere legato a salde radici storiche e culturali; di interpretare quelli che sono i bisogni del territorio, di interloquire con tutti i principali soggetti economici e sociali, di veicolare un’idea complessiva di Polesine, a partire dai temi economici, dello sviluppo, dei diritti, del lavoro, dell’ambiente; un partito capace di organizzarsi localmente e di incontrarsi “in rete”, mettendo in relazione le esperienze e le competenze che sono presenti sul territorio.

Facendo leva sul coinvolgimento di iscritti e di militanti, sarà possibile produrre una proposta politica autonoma e aderente a quelle che sono le reali esigenze del Polesine. Valorizzare i circoli, valorizzare il “capitale umano” è oggi un vero aspetto decisivo del futuro del Pd. Il Pd dovrà dimostrare anche di essere in grado di promuovere veramente quelle che sono le sue eccellenze, i suoi giovani e i suoi dirigenti locali migliori, di far vivere la propria esperienza in mezzo alla gente, passando da una logica di appartenenza ad una aggregazione sulla base di idee e progettualità, da mettere al servizio della nostra terra.


Quale ruolo per i circoli del Partito democratico?

Alcune proposte e alcune ipotesi di discussione, elaborate in sede locale, potranno meglio sostenere lo sviluppo della nostra discussione interna e fungere da base per ulteriori ragionamenti e per più approfondite riflessioni: con questo spirito ci rivolgiamo al nostro partito.

Il protagonismo dei circoli e del gruppo dirigente diffuso, di amministratori, coordinatori, militanti, sembra inoltre costituire una premessa essenziale per poter pensare ad un partito di tipo nuovo e per avviare un confronto che si ponga l'obiettivo concreto di affrontare e centrare problemi reali, quotidiani, vissuti dai nostri iscritti e dai nostri dirigenti locali, indicando qualche possibile via d'uscita e qualche praticabile soluzione.

Un nuovo modello di partito potrà affermarsi anche cercando di far fronte ad esigenze parziali e tuttora irrisolte; esso potrà sorgere anche e soprattutto sviluppandosi dal “basso”, all'interno di una cornice di regole e pratiche condivise. In questo senso, il ruolo dei circoli assume un ruolo di importanza primaria. Occorre infatti sovvertire quel modello di partecipazione e di decisione che continua ancora oggi a scorrere quasi sempre dall'alto verso il basso. L'instaurazione di nuove “buone” pratiche condivise e l'utilizzo di strumenti inediti rappresenta il primo passo verso la costruzione di un partito più aperto e più orizzontale.

Un esempio delle difficoltà di questi primi mesi di vita del Pd, anche in sede locale, può essere sintetizzato da un dibattito politico che, sia sulle grandi questioni nazionali che sui temi di interesse polesano, è stato concentrato in misura preponderante nella direzione e nell'assemblea provinciale, raggiungendo il livello dei circoli e della militanza di base in forme episodiche (se escludiamo il momento delle primarie) e traducendosi raramente nella sperimentazione di modalità “altre” per il coinvolgimento e la partecipazione della nostra base.

Ogni circolo del Pd deve invece essere messo nelle condizioni di poter attivare un rapporto reale, costante, motivato con i propri iscritti, cercando nel contempo di concretizzare e sviluppare il rapporto con l'elettorato democratico. Oggi, in molti casi, questo tipo di impegno rischia di ricadere esclusivamente sulle spalle del segretario di circolo e, magari, di qualche persona a lui più vicina: appare dunque essenziale garantire uno scambio più stretto e proficuo tra i massimi organismi provinciali e il territorio, quale premessa indispensabile per prevenire disaffezione e scollamento tra quelli che un tempo venivano definiti “centro” e “periferia”.

La partecipazione alla vita del partito, promossa attraverso il confronto aperto e plurale nei circoli, sarà in questo modo uno dei momenti fondanti per la progettazione della nostra politica. Diventa necessario, per noi, ribaltare l'idea che la presenza attiva del singolo iscritto nella vita del circolo possa essere qualcosa di episodico o di non così centrale per la costruzione del partito che vogliamo. Il circolo deve essere altresì una realtà che “conta” veramente all'interno del partito: un luogo dove si partecipa, si discute e, soprattutto, si concorre alla decisione, anche in relazione alle scelte più ampie che riguardano il partito provinciale (elezioni regionali, nazionali ecc.) e i livelli istituzionali in cui esso si trova ad operare.

Tutti i circoli devono poter essere coinvolti, per esempio, nella scelta delle candidature e nella discussione sulle questioni politiche e amministrative di più larga portata, attraverso il ricorso agli strumenti già previsti dal nostro statuto, come le primarie, e comunque prevedendo meccanismi di ampia consultazione dei gruppi dirigenti locali e degli iscritti.

Occorre ricreare e rilanciare una idea forte di militanza e di appartenenza, e occorre ripensare i circoli anche come luoghi possibili di una socialità “gratificante” per donne, uomini, giovani, anziani, lavoratori. Alla vecchia “pedagogia” dei vecchi partiti novecenteschi, organizzata su base centralistica e ideologica, e che pure ha avuto una funzione essenziale nell'edificazione del nostro sistema democratico, deve oggi subentrare un modello più flessibile, dinamico, partecipativo, non gerarchico, aperto alla società e all'individuo. Il nostro circolo deve poter essere immaginato e vissuto come luogo di effettiva elaborazione politica e culturale, come luogo di vita attiva, come strumento di democrazia e di partecipazione concreta alla vita pubblica.

Si tratta, ovviamente, di un cambiamento che tocca da vicino anche il Pd polesano, cioè una forza politica in cui oggi confluiscono un gran numero di esperienze e di “storie” provenienti da partiti di massa come il Psi, il Pci-Pds, la Dc. Eredità importanti, significative, che rappresentano un patrimonio politico enorme, ma che, sul piano dell'organizzazione, rischiano di essere eredità ancor più “pesanti” e possono difficilmente tradursi nell'applicazione di schemi adeguati al presente, senza una adeguata, coerente, compiuta revisione di modelli e categorie del passato. In assenza di uno sguardo oggettivo su questa realtà, che implica anche le necessarie rotture e prese di distanza, il pericolo maggiore per il Pd sarà quello di oscillare costantemente tra la “mitizzazione” di certe forme organizzative e il loro completo rigetto nel nome di un malinteso “nuovismo”.

A tale proposito, è credibile ipotizzare che il nostro partito, nel rispetto dello Statuto e delle regole vigenti, possa impegnarsi su una serie di assi tematici e di proposte concretizzabili, senz'altro utili a ridefinirne l'azione e il profilo complessivo:

1. Sviluppare una politica della comunicazione: implementare le mailing list e i database disponibili in sede provinciale; pianificare l'uscita di una newsletter da inviare a iscritti ed elettori; attivare gruppi di lavoro mirati e campagne di comunicazione coordinate su questioni di interesse locale. L'avvio di una seria politica della comunicazione implica, in via preliminare, la programmazione e la promozione da parte dei livelli provinciali di una serie di incontri rivolti ai circoli, in cui tematizzare concretamente il rapporto tra la singola realtà territoriale e i media – per esempio: quali sono i contatti con la stampa nel circolo x? Chi mantiene gli eventuale rapporti con i media? Quale materiale di propaganda viene distribuito? Quale viene realizzato in loco? Quante iniziative pubbliche sono state realizzate nell'arco dell'ultimo anno? Qual è lo stato dei rapporti con i vari livelli istituzionali? Ecc.

2. Progettare e predisporre un sito web del Pd provinciale, in cui poter raccogliere anche l'esperienza dei siti di singoli circoli polesani o di blog personali realizzati da iscritti e militanti. L'idea di un partito organizzato in rete, orizzontalmente, pronto a scambiare strumenti e informazioni, idee e occasioni di dibattito e confronto sulle diverse questioni.

3. Sviluppare l'azione del partito attraverso aggregazioni tematiche: è necessario prevedere riunioni tematiche per aree territoriali omogenee, in cui il partito possa promuovere la discussione di problematiche di carattere locale in sede locale, mediante il confronto aperto tra i suoi diversi livelli di rappresentanza e l'elettorato di riferimento. A tale proposito, andranno riconvocati e responsabilizzati i gruppi di lavoro precedentemente attivati dal nostro partito su specifiche questioni: ambiente, lavoro, turismo, economia, pari opportunità ecc. I coordinatori di ciascun gruppo tematico saranno tenuti a relazionare periodicamente di fronte agli organismi provinciali del partito, illustrandone l'operato ed evidenziando eventuali proposte e contributi originali.

4. Attività formativa mirata: gli organismi provinciali del partito, d'intesa con i coordinatori dei circoli, dovranno promuovere in tempi rapidi l'organizzazione di incontri formativi, con scadenza periodica, dedicati all'illustrazione di specifici argomenti e di questioni inerenti alla “vita politica” in senso lato: il funzionamento di leggi e istituzioni; la progettazione e realizzazione di materiali di propaganda; il funzionamento di una campagna elettorale ecc. A tale riguardo, andrà ricercata l'attivazione di uno specifico gruppo di lavoro, con il compito di individuare e raccogliere le competenze disponibili dentro e fuori il partito, laddove l'esigenza del momento lo richieda.

5. Valorizzare la dimensione sovracomunale e intercomunale della nostra attività, favorendo in una provincia frammentata come il Polesine l'aggregazione anche temporanea di più circoli e di più realtà territoriali su specifiche questioni. L'impulso a tale modello flessibile di organizzazione potrà venire, ad esempio, dalla ripartizione dei collegi elettorali provinciali e dalla individuazione di figure destinate a coordinare l'azione a livello sovracomunale e intercomunale (per esempio: i consiglieri provinciali, i candidati alle elezioni provinciali, i coordinatori di circolo ecc.). Questo punto, ovviamente, è destinato ad incrociarsi con quello relativo alle aggregazioni tematiche.

6. Istituzione di un circuito permanente delle Feste del Partito democratico, attraverso la convocazione di un tavolo di lavoro provinciale in cui sia possibile, soprattutto per le realtà attive su questo particolare versante, discutere e condividere scadenze, comunicazione e pubblicità, programmazione di eventi politici e promozionali ecc.

7. Creazione di una anagrafe provinciale delle competenze, che certifichi e censisca il “capitale umano” del nostro partito in maniera pubblica e trasparente.

8. Istituzione di una conferenza dei circoli del Pd provinciale, organismo consultivo di tutti i coordinatori di circolo, destinato a riunirsi almeno due volte all'anno e ad affrontare in particolare le questioni inerenti l'organizzazione del partito.

9. Utilizzo delle risorse: il tesoriere e la commissione di tesoreria si impegneranno, con cadenza annuale, ad organizzare un momento di confronto riservato all'assemblea provinciale e ai coordinatori di circolo, presentando il bilancio del partito e affrontando le questioni relative all'utilizzo delle risorse finanziarie eventualmente disponibili, con particolare riguardo a: gestione ordinaria del partito, campagne elettorali, contributi di eletti e amministratori, presenza del partito sul territorio.

venerdì 18 giugno 2010

Libertà di informazione



Segnalo l'iniziativa "salva-blog" promossa da Gentiloni, Civati e Orfini del Partito democratico.

Per informazioni ulteriori si veda, ad esempio, il sito www.mobilitanti.it

"Da pochi giorni in Senato la maggioranza con la trentesima fiducia ha approvato il ddl intercettazioni: un testo che tutela meglio i criminali dei cittadini e uccide il diritto ad essere informati. Tra i commi del testo ci sono attacchi e censure anche alla Rete. Una pagina davvero brutta per la democrazia italiana, il ddl intercettazioni dopo 2 anni di gestazione si dimostra un grande esproprio della democrazia e dell'informazione, dove le notizie cattive si sommano, e ora toccano anche il controllo e la censura della Rete. Come hanno indicato i senatori del Pd Vincenzo Vita e Felice Casson tra i tanti passaggi liberticidi e censori del maxiemendamento sulle intercettazioni ce n'è anche uno devastante per la rete. Infatti, per ciò che attiene alla 'rettifica', si equiparano i siti informatici ai giornali, dando ai blogger l'obbligo di rettifica in 48 ore. Il comma 29 dell’art. 1 prevede che la disciplina in materia di obbligo di rettifica prevista nella vecchia legge sulla stampa del 1948 si applichi anche ai “i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica”! I blogger all’entrata in vigore della nuova legge anti-intercettazioni, dovranno provvedere a dar corso ad ogni richiesta di rettifica ricevuta, entro 48 ore, a pena, in caso contrario, di vedersi irrogare una sanzione fino a 12.500 euro.. Ma un blog non è un giornale, il blogger non è un redattore, spesso gli aggiornamenti sono saltuari. Si può rischiare una maximulta perché magari si è in vacanza o non si controlla la posta? Ciò significa rendere la vita impossibile a migliaia di siti e di blog, ben diversi dalle testate giornalistiche. Lo fanno dimenticando che la rete è proprio un'altra cosa. L'emendamento del PD per modificare questa norma non è stato discusso perché la fiducia taglia tutto . Ma la destra abituata a usare la tv o non lo sa, o sperando nel silenzio prova a mettere le mani dove ancora non era riuscita a farlo. Non sappiamo se questo sia l’obiettivo perseguito o solo un effetto collaterale dell’ignoranza con la quale il centrodestra continua ad affrontare le dinamiche della ret e, di sicuro faranno passare ai più la voglia di occuparsi, on line, di informazione in ambiti o materie suscettibili di urtare la sensibilità di qualcuno ed indurlo a domandare - a torto o a ragione - la rettifica. Un ottimo silenziatore alle domande legittime dei frequentatori del web. Non finisce qui. I senatori PD vogliono presentare, d'intesa con i colleghi della Camera dei D eputati, un disegno di legge seccamente abrogativo della seconda parte della lettera a del comma 29 che recita per l'appunto: ''per i siti informatici sono pubblicate entro 48 ore dalla richiesta...''. Ci chiediamo se l'emendamento sarà sostenuto anche dai parlamentari di PDL e Lega che fanno parte dell'intergruppo web 2.0 e che nei convegni si esprimono sempre a difesa della libertà d'espressione in rete. Ora devono dimostrare alla rete che le loro non sono solo parole, da abolire a un cenno di Berlusconi. Chiediamo loro di firmare e votare l'emendamento PD al comma 29 per abolire l'obbligo di rettifica in 48 ore per siti e blog."

lunedì 14 giugno 2010

Dalla Liga alla Lega







Ho tra le mani il saggio di Francesco Jori, "Dalla Liga alla Lega. Storia, movimenti, protagonisti" (Marsilio, Venezia, 2009). Il fenomeno della Lega Nord ha dato vita, nel corso degli ultimi anni, ad una serie di ricerche e di contributi di vario segno che si sono posti l’obiettivo di ricostruire la “genealogia” politica e ideale di una forza che, nata come formazione anti-sistema, è diventata il partito più “vecchio” tra quelli che attualmente siedono in Parlamento, spesso rinnovandosi o reinventandosi tatticamente a seconda delle esigenze e della fase particolare vissuta, ma anche mantenendo ben salda la propria identità e scegliendo di non alterare mai troppo i tratti del proprio discorso fondamentale. Un interesse pubblicistico e scientifico che, superato un primo momento in cui si era forse più sensibili ad aspetti “folkloristici” o ad elementi contingenti, si collega non soltanto all’interpretazione dei lusinghieri risultati elettorali delle più recenti consultazioni, ma anche alla necessità di indagare il peculiare modello di partito che la Lega ha rappresentato dagli anni Novanta ad oggi, il tipo di insediamento territoriale e la sua maniera di evocare tutto un insieme di questioni diventate assai rilevanti per il dibattito pubblico nazionale, dal federalismo alla crisi della rappresentanza e delle categorie politiche tradizionali, dal governo dell’immigrazione alla riforma dello stato e della pubblica amministrazione ecc.

Il sociologo Ilvo Diamanti, nella sua prefazione, evidenzia l’originalità di questo nuovo saggio di Francesco Jori, che sembra consistere in alcuni punti specifici: anzitutto Jori guarda alla storia della Lega partendo dalla “Liga”, cioè dall’ottica di quel movimento regionalista che, in Veneto, cominciò a riscuotere i primi significativi consensi già all’alba degli anni Ottanta (in questo stesso periodo il potente leader doroteo della Democrazia cristiana, il polesano Toni Bisaglia, sarà tra i primi a cogliere il carattere di non effimera novità del fenomeno delle leghe, dichiarando tra le altre cose: “Per lo sviluppo effettivo delle potenzialità del Veneto, l’ostacolo principale è nella visione centralistica che ancora prevale in Italia; centralista e burocratica. Se ciò fosse possibile, direi che il Veneto sarebbe pronto a partecipare a uno Stato federale. Ma l’Italia non sarebbe pronta... lo Stato ne ha paura”. Nasce così l’idea di una Liga-Lega destinata a raccogliere il bacino elettorale dell’area democristiana e moderata, radicalizzando temi e posizioni di fronte all’incipiente crisi della cosiddetta “prima repubblica”). Il secondo elemento di originalità del saggio risiede nella volontà di ricordare al lettore e dimostrare conseguentemente, ribaltando un luogo comune, come il leghismo veneto sia stato storicamente tutt’altro che una diretta, indolore, posteriore filiazione di quello lombardo o qualcosa di simile ad un rilevante serbatoio di voti rimasto abbastanza periferico nelle grandi strategie politiche. Il Veneto “era e resta la regione dove la Lega è più forte, da sempre. Anche oggi”.

E soltanto ripartendo da questo dato di fondo e dal contesto veneto - terzo spunto importante fornito da Jori - si potrà seguire l’evoluzione del partito di Bossi, diventato Lega “d’ordine”, soggetto chiamato ad intercettare attraverso la sua classe dirigente (Zaia, Tosi, Gentilini ecc.) una doppia domanda proveniente dal territorio: la domanda di sicurezza, che emerge prepotentemente di fronte alla precarietà economica e sociale creata dalla globalizzazione, e quella di maggiore autogoverno locale, contro le lentezze e le inefficienze ormai sclerotizzate della burocrazia statale. Infine, lo sguardo dell’autore consentirà, come ricorda ancora Diamanti, di analizzare e comprendere più chiaramente in che misura il modello della Lega Nord, il modello di un partito radicato e visibile, di militanti e di militanza, potrà affermarsi oltre i propri tradizionali confini padani e pedemontani, presentandosi come forza di governo anche in quei territori del Nord e del Centro attualmente orfani di un partito “pesante” come il vecchio Pci e tuttavia caratterizzati da una struttura della società molto vicina a quella del mitico Nordest, della piccola e piccolissima impresa. In queste pagine, prive di verità precostituite, ma anche di pregiudizi, Francesco Jori ricostruisce con attenzione una parabola trentennale, intrecciando una cronaca di eventi e di personaggi apparentemente più minuta con una vicenda che oggi, di fatto, incrocia in modo non transitorio, né probabilmente casuale, il futuro di un intero Paese.

domenica 13 giugno 2010

Tocqueville e la liberaldemocrazia italiana








Il pensiero di Alexis de Tocqueville, "liberale di tipo nuovo" e grande teorico ottocentesco della democrazia, ha conosciuto nel corso del Novecento (il "secolo delle ideologie") periodi di fortuna, ma anche significative eclissi: una valutazione di fondo che, in qualche modo, può riguardare anche il panorama politico e culturale del nostro Paese. Sarà comunque dopo la Seconda Guerra mondiale che si assisterà ad una progressiva "riscoperta" del pensatore francese e delle sue opere maggiori, legata per buona parte alle analisi e alle profezie della Democrazia in America.
Nell'immediato dopoguerra, Tocqueville viene dunque riscoperto anche in Italia e sembra diventare il pensatore di riferimento di un'area politica, sempre limitata da un punto di vista elettorale, ma di grande influenza nella scena pubblica, quella della cosiddetta sinistra liberale che si raccoglierà intorno alla figura di Mario Pannunzio e al "Mondo", settimanale ideato e diretto dall'intellettuale lucchese dal 1949 al 1966. Sarà questo lo stesso gruppo che negli anni Cinquanta darà vita al nuovo Partito radicale e al tentativo di organizzare politicamente una "terza forza" laica e riformista tra il partito cattolico e le sinistre di ispirazione marxista.

Già nel 1943, sei anni prima della nascita del "Mondo", Mario Pannunzio scrive un saggio dal titolo rivelatore: Le passioni di Tocqueville. Non si tratta di una momentanea infatuazione intellettuale. L'Italia è ancora divisa in due dalla guerra, sfumate e incerte rimangono le prospettive politiche, ma Tocqueville è l'oggetto di una intensa riflessione, non scevra di considerazioni originali e di parallelismi con la realtà italiana del tempo (l'Italia fascista e la Francia di Napoleone III). Nella sua recente biografia pannunziana, lo storico Massimo Teodori insiste sul carattere profondamente autobiografico di questo scritto, quasi che Pannunzio nel descrivere i tratti fondamentali della personalità e dell'opera di Tocqueville cercasse anzitutto di trovare puntualmente confermate e di rispecchiare le proprie passioni intellettuali, le proprie opinioni su libertà e democrazia, addirittura il proprio atteggiamento nei confronti della politica e della vita. L'unico saggio storico-politico di Pannunzio sarebbe dunque il frutto di una lunga e solitaria meditazione, intrecciata alle riflessioni di Croce, De Ruggiero, Omodeo, Candeloro, Bryce, Sainte-Beuve, ma soprattutto un contributo che richiede al lettore più avvertito e allo storico interessato un'opera di decifrazione, una opportuna "doppia lettura", al punto che le passioni di Tocqueville identificano le passioni del giovane Pannunzio, anticipano l'enunciazione di una precisa mappa di valori (laicità, amore per la libertà "regolare e moderata", anti-totalitarismo) e un programma politico "in fieri", seppure già teso a delineare il profilo di un liberalismo democratico, europeo, radicale.
L'autore della Democrazia in America non è tuttavia esclusivo appannaggio del futuro direttore del "Mondo", ma risulta tra i costanti stimoli culturali del gruppo della sinistra liberale che confluirà nel nuovo settimanale, come ad esempio ricorda Eugenio Scalfari in quel singolare ritratto dei "liberal" italiani del dopoguerra che è racchiuso nelle pagine di La sera andavamo in via Veneto ("Montesquieu, Voltaire, Tocqueville, pur nelle grandissime differenze esistenti tra di loro, furono per noi un punto di riferimento unitario: l'indicazione della nuova sovrastruttura costituzionale, la distinzione dei poteri e anzi la teorizzazione dei contropoteri, il primo; il libertinaggio intellettuale, la dissacrazione dei tabù e la critica di ogni chiesa e di ogni setta, il secondo; la comprensione storica dei processi evolutivi e anzi la concezione della storia come processo, il terzo"). A conclusione di questa parabola, vedremo come al principio degli anni Sessanta il giovane filosofo Vittorio De Caprariis, tra le figure più autorevoli del "Mondo", scomparso nel 1964, a nemmeno quarant'anni, potrà dedicare proprio a Mario Pannunzio il suo Ritratto di Tocqueville, raccolta di saggi che contengono un'interpretazione originale del pensatore francese, una sorta di testamento spirituale e di itinerario politico-filosofico tuttora utilissimo per provare a comprendere in che modo si guardasse alla preziosa eredità tocquevilliana e, cosa per noi ancor più interessante, come si potesse cercare di trarne spunti e suggestioni per una compiuta diagnosi della realtà italiana del dopoguerra, all'alba del centro-sinistra e di nuovi equilibri.

Perché Tocqueville? Non siamo di fronte, o almeno non completamente, ad una diretta filiazione del magistero crociano, pur così determinante per le vicende complessive del "Mondo". Benedetto Croce, autentico "filosofo di bandiera" dei liberali italiani scrive pagine ammirate sul "ponderato ed equo gentiluomo" Tocqueville, ma il pensatore francese non sembra mai essere davvero al centro delle sue riflessioni, tanto meno in materia di politica. E tuttavia per molti di questi nuovi liberali e democratici Tocqueville appare come l'autore che più di altri consente di problematizzare il nesso decisivo tra libertà e uguaglianza nelle società democratiche, di prendere in esame in modo non ideologico né prevenuto pregi e difetti della democrazia nel mondo contemporaneo e, soprattutto, di dare un nuovo respiro europeo al liberalismo italiano. Si tratta di uscire dal recinto angusto di un liberalismo "di classe", di reinventare una cultura e una tradizione politica che erano state travolte dal fascismo e che ora necessitano di nuovi strumenti per poter adeguatamente interpretare il contesto repubblicano e incidere nelle sue grandi questioni. "Il Mondo" diventa ben presto il polo attrattivo e il centro propulsore di un liberalismo riformatore, di un progetto politico e culturale che sul piano pratico guarda all'esempio delle democrazie anglo-sassoni, a Beveridge e al New Deal rooseveltiano e che, distanziandosi dalle posizioni sempre più conservatrici e "di destra" del Pli, cercherà di raccogliere intorno a sé quell'Italia "dei laici" di cui parlerà Giovanni Spadolini, quella frammentata e composita galassia formata da liberali di sinistra, repubblicani, radicali, azionisti, socialisti democratici e autonomisti. Con Benedetto Croce, Gaetano Salvemini è l'altro grande riferimento morale e intellettuale del "Mondo" e delle sue battaglie politiche, anche se, come è stato giustamente notato, il settimanale non fu mai un "organo dalla marcata impronta ideologica o filosofica" e la sua cultura politica fu più concretamente esito non predefinito di un percorso di ricerca plurale e stratificato, "amalgama di successo che prendeva forma da un modo pragmatico di guardare alle realtà secondo l'ottica del liberalismo laico e riformatore". Lotta contro i monopoli e le rendite parassitarie, lotta contro l'incipiente deriva della partitocrazia, rilancio della questione meridionale come grande questione di interesse nazionale, impegno per una stagione di riforme sostanziali della pubblica amministrazione e degli apparati statali, della scuola e dell'università, dell'urbanistica e dell'attività borsistica ecc. Di formazione salveminiana è, ad esempio, Ernesto Rossi, intellettuale e protagonista dell’antifascismo che sarà tra i principali fautori della linea economica del "Mondo", nel nome di un liberalismo progressista che, se da un lato rimarrà critico feroce delle inefficienze e del burocratismo del capitalismo pubblico "all'italiana", dall'altro si distanzia dalle posizioni di un liberismo puro come quello di marca einaudiana, considerando la riforma dello stato come necessaria premessa per un rinnovato impegno della mano pubblica in alcuni settori nevralgici per la vita del Paese.

In questa medesima ottica, Tocqueville non assume soltanto il ruolo di "nume tutelare" della terza forza riformista, soprattutto della parte di estrazione liberale, ma è anche il diretto ispiratore di una nuova concezione del liberalismo, che abbandona le tentazioni e le tradizioni più conservatrici e si fa "radicale", individuando nella filosofia della libertà del pensatore francese un metodo di ricerca e un criterio opportuno per rinnovare in profondità la politica e la società. In particolare, se guardiamo alle posizioni espresse dallo stesso Pannunzio e da una figura come quella del filosofo Vittorio De Caprariis, il riferimento al pensiero di Tocqueville sembra essere un punto di snodo per arrivare a definire i contorni di un riformismo liberale possibile, di una strategia politica e culturale modernizzatrice elaborata nel nome di un compiuto modello di democrazia liberale, stabilmente agganciato all’Occidente. Vittorio De Caprariis, nato nel 1924, ebbe come maestri Adolfo Omodeo e Benedetto Croce e accompagnò la sua attività di giovane e brillante docente universitario, a Napoli e Messina, con un impegno culturale che non fu mai disgiunto da una genuina vocazione politica, espressa nella partecipazione all'avventura del "Mondo" e nella fondazione della rivista meridionalista "Nord e Sud". Del 1961 è il suo Ritratto di Tocqueville, che comparirà per la prima volta in volume nel '63. Testo emblematico, come si è accennato in precedenza, anche perché in questa ricerca la lucida meditazione sull'autore della Democrazia in America si intreccia più o meno apertamente ad una linea di riflessione che non perde mai completamente di vista i problemi italiani. Partendo da quella che De Caprariis evidenzia come l'intuizione tocquevilliana fondamentale: nel mondo moderno la libertà può sopravvivere "come fatto politico" soltanto incarnandosi nelle forme della democrazia. Rispetto ad altri celebrati autori della famiglia liberale, Tocqueville suggerisce che la democrazia è anzitutto un problema di educazione al "gusto per la libertà", è un problema di cultura, di costumi, di carattere nazionale, di vitalità politica, prima ancora di identificare un sistema di regole e procedure giuridiche, un quadro esatto di pesi e contrappesi istituzionali. Solo la libertà politica e civile può assicurare il raggiungimento del benessere materiale ai cittadini delle democrazie e solo una ricca articolazione pluralistica di associazioni, di corpi intermedi, di "autonomie" ad ogni livello può consentire il pieno dispiegamento di questa libertà, nonché dei diritti che essa naturalmente promuove e garantisce. Pluralismo associativo che educa alla libertà e che previene alcuni dei rischi mortali per la società moderna: l'accentramento politico e amministrativo, la degenerazione dispotica, quella strana commistione di pulsioni autoritarie e rassegnazione civica che può albergare nel cuore stesso della democrazia e tornare a manifestarsi sottilmente ma anche con virulenza, magari come "tirannia della maggioranza" favorita dal declino progressivo dello spirito associazionistico tra i cittadini. Il Tocqueville che esalta la partecipazione civica degli americani e rifiuta di identificare liberalismo e individualismo, lo ricorda ancora De Caprariis nel suo Ritratto, compie un'altra scoperta originale e importante: una scoperta che contravviene ad una lunga tradizione di filosofia politica occidentale nemica del "mutamento" (tra le poche eccezioni: Machiavelli) e secondo cui la mobilità sociale è piuttosto da assumere come un fattore decisivo per il buon funzionamento dei sistemi democratici. La mobilità incessante delle società democratiche è "una spinta possente verso il progresso materiale e intellettuale, una spinta che imprime a tutto il corpo sociale un'attività che nessun altro regime potrebbe creare. (...) Questo tipo di instabilità, rispettando i principi generatori della società, si traduce in impeto creatore, energia operativa, genera, finalmente, gli anticorpi capaci di annullare o attenuare i pericoli che corre la società tutta intera". Questa sottolineatura di De Caprariis, riportata all'analisi delle democrazie contemporanee, e con ogni probabilità anche al particolare caso italiano, implica come diretta conseguenza la necessità, per un liberalismo che si qualifichi come "moderno" e "progressista", di pensarsi come una filosofia politica strettamente connessa ad un coerente ed organico disegno di riforme, in grado di tradurre sul piano politico e istituzionale quel moto permanente che anima le società democratiche e ne costituisce una delle cause generatrici, prevenendo involuzioni del sistema e deviazioni estremistiche. Non è certamente un caso che De Caprariis dedichi un significativo passaggio del suo Ritratto proprio al Tocqueville che, negli anni Quaranta del XIX secolo, affidava il progetto politico liberale e riformatore al giornale "Le Commerce", intendendo raccogliere intorno a tale iniziativa gli uomini e le idee per poter realizzare finalmente una "terza forza", l'embrione di un nuovo partito alternativo alle forze egemoni di destra e di sinistra. Anche per la Francia di metà Ottocento, la "salvezza poteva venire solo da un terzo partito, che fosse capace di 'usare in altro modo le istituzioni' e di compiere quel certo numero di riforme che garantissero una graduale attuazione del regime democratico".

Bibliografia di riferimento

Giuseppe Bedeschi, La fabbrica delle ideologie. Il pensiero politico nell’Italia del Novecento, Laterza, Roma-Bari, 2002

Vittorio De Caprariis, Ritratto di Tocqueville, Guida, Napoli, 1996

Antonio Jannazzo, Il liberalismo italiano del Novecento. Da Giolitti a Malagodi, Rubbettino, Soveria Mannelli (Cz), 2003

Massimo Teodori, Pannunzio. Dal “Mondo” al Partito radicale: vita di un intellettuale del Novecento, Mondadori, Milano, 2010

Massimo Teodori, Storia dei laici nell’Italia clericale e comunista, Marsilio, Venezia, 2008

lunedì 7 giugno 2010

Un'idea di solidarietà








"I copi"

"I copi i se tien quasi par man
come fradei, i se pasa l'acqua
i se spartisse el sol e le nuvoe
e le nevegade che le pesa guaive
Semo manco de lori, copi sbaliadi
che no se liga, i se urta e rompe
senza rason, sora 'na casa indove
un sta in pase e l'altro in guera".

(Romano Pascutto, 1971)


Mi piacciono questi versi di Romano Pascutto. Come non sentirci anche noi, spesso, "copi sbaliadi", sbagliati, atomi che si urtano senza riuscire a legare? Di lui ha scritto Andrea Zanzotto: “Non c'è dubbio che a Romano Pascutto va riconosciuto un vero e proprio magistero nel campo della poesia dialettale di questo dopoguerra... Se è vero che ogni poeta dialettale è colui che salva l'anima più profonda, Romano Pascutto che ha dimostrato di saper mobilitare tutte le risorse della lingua della sua terra, quella di S. Stino e della bassa Livenza, e darne un vastissimo affresco costituito di piccoli, densi quadri, ha assolto pienamente a questo compito”. E, ancora, prosegue il poeta di Pieve di Soligo, nel delineare questo efficace ritratto: “Nell’espressione di Pascutto c’è una durezza, una spietatezza che tarpa le ali ad ogni retorica, e vi è il senso del cupo enigma del mondo le cui antinomie sembrano insuperabili. Vi è infine l'incoercibile fiorire della lingua, nella sua individualità che è insieme verbo e terra...”. Poche, suggestive righe che compendiano esemplarmente una figura come quella di Pascutto, poeta in lingua e dialettale, romanziere e autore teatrale, ma anche partigiano e amministratore, uomo pubblico e cantore “a tutto tondo” della propria terra.

Nato a S. Stino di Livenza, Romano Pascutto (1909-1982) è figlio di poveri artigiani. Ha soltanto otto anni quando la disfatta di Caporetto obbliga migliaia di veneti e friulani all’esodo dalle proprie case: Romano frequenterà i primi due anni delle scuole elementari a Firenze. Poi con la famiglia sarà a Pordenone, dove poco più tardi si iscriverà all’Istituto Tecnico e, nel Circolo culturale cattolico di Torre diretto da Don Giuseppe Lozer, incontrerà il pittore Armando Pizzinato, con cui stringerà un solido vincolo amicale. Sono comunque anni difficili: Pascutto, fieramente antifascista, osteggiato per le sue posizioni politiche, sceglie di raggiungere il fratello Sante in Libia, trovando occupazione presso una compagnia di navigazione. Durante la guerra, rientra a San Stino con moglie e figlia, conosce la Resistenza tra le fila dei garibaldini, passando anche un duro periodo nelle carceri di Portogruaro. Nel 1946 inizia la propria militanza nel Partito Comunista Italiano (avrà incarichi in ambito provinciale e sarà consigliere comunale, assessore e infine sindaco a San Stino di Livenza tra il 1975 e il 1980) e nei mesi seguenti, dopo essere stato reintegrato come funzionario della Società di navigazione “Tirrenia”, potrà finalmente ritrovare a Venezia vecchi amici e compagni, tra cui Pizzinato.

E' sempre dopo la Liberazione che Pascutto iniziò a pubblicare volumi di poesia in dialetto e in lingua (le poesie sono oggi raccolte nel primo dei quattro volumi dell’opera omnia, "L’acqua, la piera, la tera", del 1990, a cura di Antonio Daniele ed edito, come gli altri, da Marsilio) e, successivamente, diede alle stampe una serie di libri che riscossero i primi consensi della critica, aprendo finalmente la sua opera alla notorietà e ad importanti accostamenti, come quelli con Giacomo Noventa e Biagio Marin, quasi a voler comporre una sorta di ideale triade della nostra tradizione poetica. Vengono così pubblicati scritti teatrali, romanzi e racconti di notevole efficacia narrativa, in particolare si segnalano i romanzi "La lodola mattiniera" (Padova 1977) e "Il Viaggio" (Padova 1979), saga familiare degli anni del fascismo, e il volume di racconti, ispirati dall’esperienza vissuta da Pascutto come giudice popolare, "Il pretore delle baracche" (Milano 1973). Al primo volume dell’opera omnia, già citato, fanno seguito nel 1996, a cura di Saveria Chemotti, i romanzi e racconti, con un significativo apparato critico e un’ampia nota biografica della curatrice. Nel 2003, sempre a cura di Antonio Daniele, si è invece proceduto alla pubblicazione del volume “Nostro tempo contato” e di altre poesie edite e inedite. Il lavoro di recupero dei manoscritti pascuttiani prevede infine un quarto tomo, dedicato ai numerosi testi teatrali dello scrittore, "giacimento" letterario in buona parte inesplorato: una nuova uscita che dovrebbe concretizzarsi per il centenario della nascita di Pascutto.

martedì 1 giugno 2010

See you in Venice





Qualche giorno fa mia sorella passeggiava per Venezia e ha catturato questo formidabile esempio di arte situazionista post-elettorale.