giovedì 15 aprile 2010

Progresso















Lo confesso: non ho mai tenuto in mano una cosiddetta playstation in vita mia. Forse perché ancora inconsciamente e generazionalmente troppo attaccato allo spirito del vecchio Commodore 64. Qualcuno magari riuscirà a spiegarmelo, prima o poi, senza ricorrere alla psicoanalisi. Vedremo.

Intanto devo dire che ho sempre preferito la grafica sommaria di "International soccer", con le figure dei calciatori virilmente stilizzate, le rigide traiettorie della palla, con le sue incomprensibili impennate e le improvvise accelerazioni, quasi a reinventare le leggi della fisica, e poi il senso precario della prospettiva e le maschere da teatro greco sullo sfondo: volete mettere la differenza rispetto alle iperrealistiche riproduzioni d'oggi?

Effetti da stadio, luci, cori e telecronache, fattezze dei calciatori rese in modo calligrafico, statistiche debordanti... ma l'essenza del "gioco" in queste cose io non la ritrovo, o forse per dirla ancora con il poeta (Dylan Thomas): "La palla che lanciai giocando nel parco / Non è ancora scesa al suolo".

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