martedì 20 aprile 2010

Il Pd e lo 'strano' rapporto con la Lega




In questo strano “caos calmo” che regna nel centrosinistra dopo l’esito invero assai preoccupante dell’ultima tornata amministrativa (il risultato deludente delle elezioni regionali e la perdita di diversi comuni importanti anche sul piano simbolico, da Mantova giù giù fino a quel di Comacchio), il nervosismo che serpeggia tra i vari leader e sottoleader nazionali fa il paio con le difficoltà incontrate dal gruppo dirigente del Pd nel definire o almeno cercare di abbozzare una concreta via d’uscita, per un partito che dovrebbe essere il perno insostituibile di qualsiasi ipotesi di alternativa rispetto all’asse sempre più solido instaurato tra Lega e Pdl. Un’altra, poi, è la questione che aleggia un po’ dappertutto e che riguarda naturalmente anche il Veneto, la cosiddetta “questione settentrionale”, spesso declinata nelle sue varianti meno originali (il partito del Nord).

Bisognerebbe chiedersi a questo punto: nel prossimo futuro varrà ancora la pena di scontrarsi frontalmente con la Lega, come è avvenuto durante questa campagna elettorale, per poi ritornare a blandire i leghisti subito dopo la chiusura delle urne, con tanto di lodi sperticate al modello di radicamento della Lega e al suo essere tra la gente “come il vecchio Pci”, improvvisate aperture di sindaci sul territorio e velati corteggiamenti nel nome del pragmatismo (agnosticismo?) amministrativo e del “vorrei ma (forse) non posso”? Una sintomatica divaricazione. Rimane probabilmente ancora da verificare se si tratti di posizioni e di modelli così compatibili (personalmente conservo forti dubbi), ma quel che è certo è che il Pd manca di una vera strategia e non sa come arginare un partito di cui subisce la fascinazione di forza popolare e che riesce a combinare con spregiudicatezza spinta federalista e centralismo interno, velleità modernizzatrici e visione paternalistica della società.

Non è un caso che i presidenti leghisti di Veneto e Piemonte, Luca Zaia e Roberto Cota, prima ancora di riprodurre l’inossidabile mantra federalista-secessionista contro i misfatti partitocratici di Roma ladrona, abbiano scelto per il loro debutto congiunto lo spinoso tema della pillola Ru486. In cima ai pensieri della Lega, autroproclamatasi di lotta e di governo, sta ora anche un’altra Roma, quella vaticana. La Lega ha cambiato i rapporti di forza dentro il centrodestra, è autorevole interlocutore delle gerarchie cattoliche, su quelle posizioni schematicamente riassumibili come “difesa della vita”, e reclama addirittura Palazzo Chigi.

E tutto questo, però, avviene in un Nord secolarizzato, pluralistico, europeo, caratterizzato da quel “politeismo di valori” che è cifra della modernità non in virtù di qualche complotto massonico o comunista, ma come esito storico di una plurisecolare evoluzione del mondo occidentale, delle sue istituzioni e dei suoi costumi. Il confronto sui contenuti è buona cosa, a cominciare dal federalismo fiscale, ma il Pd è obbligato dalla propria ragione sociale a marcare in fretta una chiara linea di alternativa, facendo attenzione a troppo improvvide strizzate d’occhio.

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