
Nella relazione presentata all’ultimo congresso provinciale della Cgil e posta in evidenza dalla stampa locale, il segretario Giovanni Nalin ha rimarcato almeno un paio di verità elementari per l’odierna realtà polesana: 1. Di fronte alla crisi (ad una crisi il cui impatto è ancora ben lungi dall’essere assorbito, stando ai più recenti dati dell’economia) non possiamo limitarci a sperare nella panacea che sarebbe offerta dalla riconversione della Centrale Enel di Polesine Camerini. 2. Sembra altrettanto rischioso confidare nel fatto che la ripresa economica e le prospettive di sviluppo del nostro territorio possano dipendere esclusivamente o quasi dall’iniziativa della “mano pubblica”. Personalmente aggiungerei, come corollario, una terza sintetica riflessione, che può assumere un proprio senso anche in relazione a questi giorni di campagna elettorale per la Regione, in cui il Pd ha coraggiosamente speso un “uomo di frontiera” come Bortolussi, storico leader degli artigiani di Mestre.
La riflessione è questa: è impensabile uscire dalla crisi e tornare a crescere, specialmente per un territorio come quello polesano, troppo spesso schiacciato dalle priorità e dagli interessi di aree più forti, se non viene affermata la centralità del “capitale umano”. Ciò significa credere che l’investimento più vantaggioso che si possa fare è quello che riguarda istruzione e formazione. Significa rafforzare con convinzione il ruolo dell’Università nella nostra provincia, ma anche quello (strategico) della rete scolastica e formativa diffusa sul territorio. Fare in modo che possano sorgere nuove occasioni per la ricerca. Valorizzare la competenza, la concorrenza, il merito ad ogni livello. I partiti e le forze sociali ed economiche polesane devono assumersi oggi una responsabilità in più: è illusorio ritenere che questo cambiamento possa essere generato spontaneamente, “dal basso”.
Bisogna creare le condizioni affinché sia possibile produrre nuova classe dirigente a mezzo di classe dirigente, proprio partendo dal ruolo propulsivo del ceto politico e delle amministrazioni pubbliche, che dovranno essere in grado di aprirsi e collegarsi con le cosiddette minoranze attive, con i settori migliori e più competenti della società, rinunciando alle cooptazioni e agli “ingressi laterali”. Un salto di mentalità epocale, forse, ma necessario per evitare la puntuale riproposizione di quel luogo comune che vuole il Polesine eterna “terra di conquista” per interessi… in larga parte extra-polesani. Consiglierei, a tale proposito, la lettura del saggio del sociologo Carlo Carboni “La società cinica” (ed. Laterza), pubblicato un paio di anni fa, ma a mio giudizio tuttora molto utile per cercare di sviluppare alcuni dei temi qui sommariamente accennati, anche in relazione alla peculiare situazione della nostra realtà.
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