
Questa è la prima parte di un intervento che ho tenuto lo scorso 2 marzo, a Roma, presso la sede capitolina della Regione del Veneto, in occasione della presentazione del catalogo del premio Oderzo di architettura.
"Parlare di editoria, in Italia, significa fare i conti con un panorama vivace, diversificato e in costante evoluzione. Una miriade di case editrici, grandi e piccole. Tre miliardi e mezzo di euro di giro d’affari, 59.000 nuovi titoli all’anno, secondo l’ultimo “Rapporto sullo stato dell’editoria” dell’AIE. Parlare di editoria significa, soprattutto, confrontarsi con statistiche e con esperienze di vario tipo e con un futuro che è ancora, in larga parte, nonostante tutto, da definire e da costruire.
Se un primo dato rilevante caratterizza l’editoria universitaria, o l’editoria che chiamiamo “di cultura”, questo dato è senz’altro individuabile nel pluralismo, cioè nella presenza di un numero consistente di piccole e medie case editrici fortemente specializzate, altamente flessibili e radicate sul territorio.
Una quota assolutamente non disprezzabile, specialmente nel Centro-Nord, è costituita da editori indipendenti, vale a dire da imprese estranee ai grandi gruppi editoriali. Potremmo parlare, a tale proposito, di un relativo policentrismo dell’editoria universitaria, riflesso di un più ampio e tradizionale policentrismo culturale del nostro Paese, che si evidenzia anche nella storia dell’editoria.
Un panorama di risorse comuni, ma anche di problemi comuni, di nodi irrisolti, di scelte complicate che non possono essere eluse e neppure dilazionate, com’è facile intuire: la crescente concorrenza delle grandi case editrici, l’assorbimento di marchi editoriali “storici” entro più grandi concentrazioni, i rischi e gli ostacoli della distribuzione, le stesse difficoltà del sistema universitario italiano, l’impatto delle nuove tecnologie e le opportunità del web ecc. Di questi giorni, per esempio, è la notizia che l’ateneo di Harvard ha iniziato a pubblicare i propri testi attraverso il social network Scribd, uno dei tanti luoghi su Internet creati per l’aggregazione e per la condivisione di documenti di ogni genere e natura.
Si tratta di questioni aperte, che non penalizzano necessariamente l’editoria di cultura e tuttavia fanno comprendere agli osservatori più attenti come non sempre, anche in un mercato sui generis come questo, valga lo slogan “piccolo è bello”.
D’altra parte, è pur vero che l’industria culturale, e l’editoria “cartacea” in particolar modo, non possono rinunciare ad elementi come qualità, originalità, creatività, capacità di elaborazione, vicinanza e cura per il lavoro che si svolge. Le università e, più in generale, i centri di ricerca e di cultura, pubblici e privati, hanno bisogno non soltanto di contenere i propri costi, ma anche di poter condividere un metodo, una “strada”, un progetto culturale, di poter confrontare idee e posizioni. Per questi motivi, l’editoria di qualità, l’editoria di cultura potrà avere un proprio riconoscibile spazio anche in futuro.
Ma che cosa significa, più nel dettaglio, editoria di qualità, e che tipo di relazione instaura questo mondo con quello dell’architettura (universitaria e non)?
Bisognerebbe avere il tempo per evidenziare e illustrare casi specifici, ma ci limiteremo per il momento a delineare qualche linea di tendenza e a mettere in rilievo qualche punto essenziale.
Innanzitutto, questo tipo di editoria, come abbiamo accennato in precedenza, è spesso in grado di coniugare il proprio radicamento territoriale (che non vuol dire soltanto vicinanza geografica all’accademia, ma anche precisa vocazione culturale e pieno inserimento all’interno di un determinato sistema di reti e di relazioni) con alti livelli di competenza e di professionalità.
Le case editrici che si occupano di architettura, soprattutto quelle piccole e medie, le realtà decentrate rispetto alle “grandi metropoli”, uniscono molto spesso ad un alto grado di competitività una visione aperta all’innovazione e alla qualità, una solida preparazione editoriale e culturale, una certa capacità di “osare” e di sperimentare. Abbiamo a che fare, insomma, con una vera e propria editoria di progetto, che per essere competitiva e per poter presidiare nicchie pregiate di mercato è “costretta” a lavorare sulla qualità.
Questi editori possono essere imprese locali, ma quasi mai localistiche, quasi mai cioè rinchiuse nel proprio “particulare”, ancorate ad un rapporto esclusivo con la propria città o con il proprio ateneo di riferimento: questo dettaglio non secondario, probabilmente, distingue la realtà concreta dell’editoria da altri settori della nostra economia che si regge sul contributo della PMI (anche di quella economia che oggi definiamo “simbolica” e “immateriale”).
Le case editrici che si occupano di architettura sono “antenne”, sono sensori presenti sul territorio, realtà che collaborano attivamente con le università e i principali centri di ricerca, condividendone il contesto e le problematiche, ma che riescono anche ad intercettare il mondo che “sta fuori” e a dialogare con le aziende e con le istituzioni pubbliche, con i professionisti che lavorano in loco, riescono a valorizzarne le esperienze più significative, a creare occasioni editoriali – cataloghi, monografie, collane ecc. – che veicolano quanto viene quotidianamente ideato, progettato, realizzato sul territorio".
CONTINUA...