
Le incredibili, vergognose dichiarazioni dei leader iraniani su Israele e sulla Shoah mi spingono ad intervenire sul significato che dovremmo attribuire alla Giornata della memoria con alcune riflessioni.
Il nostro errore più grande sarebbe, infatti, quello di consegnare oggi questa memoria ad un passato ormai quasi arcaico, irriconoscibile, estraneo, senza continuare a vigilare e senza nemmeno interrogarci su quelle endemiche condizioni di fragilità e di precarietà dei nostri sistemi sociali e politici che portarono alla Shoah e alla guerra di sterminio e che, nonostante un presente democratico e apparentemente riconciliato del mondo che chiamiamo civile, rimangono sedimentate nella stessa essenza delle società contemporanee.
Il grande sociologo di origine polacca Zygmunt Bauman, nel suo saggio “Modernità e Olocausto”, ha dimostrato come i tragici eventi legati alla barbarie nazista e al genocidio degli ebrei non siano qualcosa che appartiene ad una momentanea regressione ferina di una parte dell’umanità occidentale, né il prodotto impazzito di una cultura irrazionalistica che ha permeato il continente europeo tra Otto e Novecento, fornendo un ampio substrato all’emergere del fanatismo ideologico e dei totalitarismi.
La soluzione finale poté essere concepita dai nazisti all’interno di una “moderna” società di massa, una società amministrata da “moderni” apparati burocratici e segnata dai successi della “moderna” scienza e delle sue “moderne” tecniche. La razionalità burocratica, questo agire sganciato dall’etica, dalla religione, dalla filosofia, orientato unicamente allo scopo, all’efficienza e alla riduzione dei costi, ha contribuito in maniera determinante a trasformare un delirio ideologico in uno sterminio rigorosamente pianificato.
Scrive Zygmunt Bauman: “Il terrore inespresso che permea il nostro ricordo dell’Olocausto (collegato, e non a caso, al pressante desiderio di non trovarsi faccia a faccia con tale ricordo) è dovuto al tormentoso sospetto che l’Olocausto potrebbe essere più di un’aberrazione, più di una deviazione da un sentiero di progresso altrimenti diritto, più di un’escrescenza cancerosa sul corpo altrimenti sano della società civilizzata; il sospetto, in breve, che l’Olocausto non sia stato un’antitesi della civiltà moderna e di tutto ciò che (secondo quanto ci piace pensare) essa rappresenta. Noi sospettiamo (anche se ci rifiutiamo di ammetterlo) che l’Olocausto possa semplicemente aver rivelato un diverso volto di quella stessa società moderna della quale ammiriamo altre e più familiari sembianze; e che queste due facce aderiscano in perfetta armonia al medesimo corpo. Ciò che forse temiamo maggiormente è che ciascuna delle due non possa esistere senza l’altra, come accade per le due facce di una moneta”.
Ancora oggi c’è bisogno di tornare a nominare l’innominabile, c’è bisogno di ricordare ciò che è accaduto non per un omaggio formale o per adempiere ad un rito tra i tanti che scandiscono la nostra vita collettiva, ma perché senza memoria non esiste identità, non esiste possibilità di condivisione né speranza di futuro. La memoria della Shoah e della sua unicità diventa la premessa indispensabile per poter pensare ad una effettiva “civilizzazione” della nostra epoca.
Nessun commento:
Posta un commento