mercoledì 15 dicembre 2010

Turismo




















Questo è il testo di una mia relazione presentata ad un convegno del Pd provinciale sul turismo, che si è tenuto a Rosolina (Centro congressi) il 1° ottobre 2008.


Perché un convegno sul turismo a Rosolina? Per vari ordini di motivi. Il primo: parlare di
turismo in Polesine equivale ancora oggi a parlare per buona parte di Rosolina e delle sue
performance, nel bene e nel male.

Sembra anzitutto evidente che il turismo del futuro debba necessariamente puntare sulla
qualità e su quella che è l’anima, l’identità più profonda di un territorio: identità culturale,
ambientale, socio-economica ecc. Un mosaico complesso che deve necessariamente essere
presente e riflettersi in modo articolato nel quadro di un’offerta turistica che pretenda
realmente di competere su un mercato globale con prospettive incoraggianti. A rigor di logica,
oggi dovremmo parlare di turismi al plurale, perchè ogni scelta e ogni riflessione devono fare i
conti con un universo in costante evoluzione e con una frammentazione dell’offerta e delle
proposte presenti sul mercato.

In linea generale, nel nostro Paese negli ultimi decenni la politica turistica è andata assumendo
una nuova rilevanza: la riforma nazionale del comparto, la previsione di nuovi attori per la
valorizzazione e promozione del settore, la definitiva regolazione dei rapporti tra Stato e
regioni, sono solo alcuni degli aspetti che hanno caratterizzato la recente politica turistica
italiana e di riflesso l’intero andamento del settore.

Partendo dalla valutazione della specificità e complessità del fenomeno turistico, la nostra
politica deve ora iniziare a porsi alcuni problemi di fondo. Deve iniziare ad analizzare in chiave
problematica il processo di evoluzione del turismo e della politica turistica, con particolare
attenzione al contesto politico-istituzionale ed alle tematiche legate alla proiezione regionale e
locale delle questioni turistiche, alle politiche di promozione e valorizzazione turistica,
esaminando le nuove strategie e il ruolo ed il cambiamento degli attori in campo.

Dalla sintesi del programma del Partito Democratico per le ultime elezioni politiche 2008. Un
breve promemoria e un esempio dei problemi oggi sentiti:
In attesa di una riforma del Titolo V della Costituzione, attraverso un’azione
concertata con le Regioni deve essere riassunta in capo allo Stato la definizione della
strategia nazionale per lo sviluppo del Turismo. Deve invece restare affidata alle
Regioni la gestione delle politiche di regolazione e sostegno delle attività turistiche.
In questo quadro, il Governo del Pd si impegna a promuovere un'iniziativa in sede
europea per l'applicazione di un’aliquota IVA ridotta alle attività turistiche nel loro
complesso o a segmenti significativi delle stesse.

Personalmente, sono convinto che l’appuntamento odierno servirà più a porre domande e a
individuare alcuni problemi di fondo, che a dare risposte e descrivere scenari certi: ma il dato
fondamentale è riuscire ad avviare una discussione reale, concreta, in grado di coinvolgere chi
opera su questo territorio a vario titolo, dagli operatori economici agli attori istituzionali.
Da dove iniziare, allora? Rosolina ha una storia per certi versi sui generis, ma ormai
cinquant’anni di turismo balneare sono una vicenda che ha inciso fortemente sull’identità di
questo territorio e che merita un riflessione non meramente settoriale, non meramente rivolta
ai cosiddetti “addetti lavori” o delegata ad aspetti “tecnici” e “gestionali”. Occorre inoltre che la
politica, al di là e oltre gli schieramenti, recuperi un ruolo forte, un ruolo di proposta e di
progetto; che sappia fare, quando serve, fronte comune.

La crescita del dopoguerra è stata qualcosa di disordinato e tendenzialmente non
programmato, che meriterebbe di per sé un momento di sintesi e di riflessione approfondita su
quella che è la radice del presente, un momento di ripensamento critico e di rielaborazione.
Siamo un territorio, un Comune “giovane”: questo vorrà pur dire qualcosa. Spero che anche la
nostra Amministrazione, insieme alla Provincia e alla Regione, voglia in prospettiva farsi carico
di un impegno di rielaborazione obiettiva questo tipo, non facile ma necessario. Per noi è
diventato chiaro che oggi non è più possibile pensare in termini di autarchia, di autosufficienza;
occorrono scelte forti e progetti che sappiano unire tutti gli attori coinvolti nel turismo. C’è
forse bisogno anche di un salto di mentalità, indispensabile per accompagnare ogni ipotesi di
cambiamento e per “fare squadra”.

Una cosa che, come figlio di rosolinesi emigrati per diverso tempo lontano da casa, mi ha
abbastanza colpito è sempre stata la scarsa propensione di Rosolina a pensare se stessa, a
pensare la propria identità in termini plurali: forse c’è voluto del tempo anche prima di
riconoscere il turismo come una delle principali vocazioni di questo territorio e come tratto
identitario a tutti gli effetti. Grande dinamismo privato, presenza di personalità di spicco, ma
poca o nulla capacità di riflessione comune e condivisa, per esempio su tradizioni, tipicità,
modalità condivise di proiezione del territorio verso l’esterno, salvo rare eccezioni. E questo
nonostante il 90% del turismo di questa provincia transiti tuttora da Rosolina: dato di cui, si
intenda, rimaniamo ben orgogliosi. Non è questione di localismo o di patriottismo comunale,
ma di costruire e pianificare la promozione attiva di una cultura del territorio, leva
indispensabile per offrire una proposta turistica in grado di essere riconoscibile e appetibile in
un mercato globalizzato come quello del XXI secolo.

Rosolina, con l’agricoltura, l’orticultura, l’artigianato e poi la pesca, da una parte. Rosolina
“mare”, Rosapineta, le spiagge, i turisti ecc. dall’altra. Oggi il turismo deve riuscire a
raggruppare tutti questi fattori in una proposta complessiva, creando o ricreando una
immagine fortemente caratterizzata. Le bellezze naturalistiche sono soltanto il punto di
partenza, presentano una “cartolina” del territorio, ma devono essere accompagnate da una
forte azione di promozione, valorizzazione, conoscenza ecc. Un quadro in cui la politica è
chiamata a rivestire un ruolo attivo di programmazione intelligente e mirata, con gli strumenti
a disposizione e con le, spesso scarse, risorse a disposizione. Ma è bene aver presente il
problema! E iniziare quantomeno a lavorare nella giusta direzione: non è nostro intendimento
procedere verso nobili ma solitarie battaglie...

Cominciamo allora da alcune questioni aperte. Un problema preliminare, tra i tanti, si impone
per esempio ai nostri occhi: le sinergie, le alleanze, le relazioni. Collegare e mettere in rete
Chioggia, Rosolina e poi tutto il Delta: si tratta di una strategia desiderabile? Si tratta di una
utopia? Esistono troppi problemi di “campanile”, troppi interessi conflittuali perchè questa
prospettiva possa realizzarsi? Non è evidentemente una questione di sole infrastrutture,
carenti o mancanti. Anche qui, la volontà deve essere politica! Bisogna trovare le sedi e le
occasioni giuste per discutere questa prospettiva.

Secondo esempio, il ruolo del Parco: oggi Rosolina è realmente la “porta settentrionale” del
Parco del Delta? Da segretario locale degli allora Ds, qualche anno fa, parlai polemicamente di
isolamento del nostro comune rispetto alle principali questioni che riguardano l’ambito
provinciale e nello specifico bassopolesano. Al di là della notazione polemica, vedevo e vedo
ancora oggi come la relativa “eccezionalità” del nostro Comune nel contesto deltizio rischi di
essere un freno inconsapevole all’adozione di strategie comuni, specialmente sul versante
turistico e della promozione del territorio. Il Parco del Delta, invece, può essere l’opportunità
per una effettiva integrazione, all’interno di una visione comune dei problemi e delle risposte
da dare. Rosolina può candidarsi a un ruolo di motore propulsivo dell’intera area, senza aver
timore di perdere le proprie consolidate posizioni. Rosolina e il Delta, Rosolina e il Polesine:
altro possibile connubio vincente, altro salto di mentalità. Più in generale, la “questione Parco”
e la “questione Delta” devono rientrare oggi al primo punto dell’agenda politica provinciale:
proposte come quella, recente, di allargamento del Parco alla Sinistra Po possono essere utili,
ma da sole non bastano. Il gap rispetto al Parco emiliano non viene da una “differenza”
ontologica, ma è il frutto di un ritardo politico e culturale: un ritardo che non è impossibile
colmare, se si supera una logica partigiana nella gestione della politica e delle amministrazioni.

Il futuro, ecco una parola e una questione cruciale: siamo in grado di investire sui giovani,
sullo sviluppo di una nuova classe dirigente locale, di una moderna cultura imprenditoriale,
capace di coniugare la difesa intransigente del patrimonio ambientale, culturale, direi anche
etno-antropologico del nostro territorio, con la modernizzazione dell’offerta turistica? Questa è
la sfida che abbiamo davanti. Nel concetto di “natura” inseriamo stabilmente pure l’uomo, chi
questa terra la ama e la vive quotidianamente. Troppo spesso si sono creati equivoci
interessati intorno al concetto di ambiente e ambientalismo: oggi fare ambientalismo a
Rosolina può significare pensare a un modello di sviluppo che ha la propria base nel turismo e
nelle altre vocazioni economiche del territorio, dall’agricoltura alla pesca. I diversi ambiti
devono tuttavia essere compresi in un disegno strategico più generale, che oggi manca e
rispetto al quale tuttavia nessuno può sentirsi escluso.

Giunti a questo punto, che cosa chiedere alla politica? E quali sono gli assi lungo i quali anche il
Pd vorrà muoversi? Ecco alcuni dei primi spunti, sui quali indirizzare i futuri approfondimenti:
a. Investire sul “capitale umano”, lavorare per una sua reale valorizzazione, lavorare per un
ricambio generazionale e per un rinnovamento delle classi dirigenti locali. Premessa di tutto
ciò: formazione, formazione, formazione.
b. Moltiplicare le occasioni di confronto e di dibattito per la definizione di un modello di sviluppo
sostenibile per Rosolina, che sia frutto di una elaborazione “dal basso” e che veda coinvolte le
forze sociali, economiche, sindacali, politiche ecc. del nostro territorio.
c. Favorire il dialogo e la collaborazione tra i diversi piani istituzionali e amministrativi, intorno
al perseguimento di obiettivi condivisi.
d. Promuovere una cultura del territorio che sia genuina espressione di Rosolina e del Delta,
della nostra cultura e del nostro territorio, non la stanca riproposizione di strategie applicate in
altri contesti o di un marketing “senz’anima”.
e. Pianificare una rete di possibili relazioni e alleanze tra le nostre varie realtà, partendo
dall’utilizzo del Parco del Delta come visibile “marchio” e veicolo effettivo per una promozione
del territorio coerente e coordinata, continua e condivisa.
Spero che, su questi punti generali, si possa avviare un confronto costruttivo.

Diego Crivellari

martedì 30 novembre 2010

Una lettura necessaria
















Un libro struggente e bellissimo. Una lettura che consiglio vivamente.

“Come mi batte forte il tuo cuore” di Benedetta Tobagi (ed. Einaudi) non è soltanto l’omaggio appassionato di una figlia alla storia del padre, Walter Tobagi, un “maestro del giornalismo” di soli trentatré anni, ma è un’opera letteraria che più di tanta altra gridata “pubblicistica” apparsa in questi anni riesce a farci comprendere il “cuore nero” dei nostri anni Settanta. Senza inveire, senza cadere nella retorica, senza accontentarsi dei luoghi comuni né costruire facili agiografie, ma cercando di restituire una voce vera e cercando di rievocare concretamente una stagione, un clima, un periodo della nostra storia recente.

Un libro ammirevole, per la misura e per l’intelligenza con cui è stato costruito: queste pagine possono davvero aiutarci a dipanare il filo di una memoria intermittente e far conoscere più da vicino la vicenda esemplare di Walter Tobagi, nei suoi risvolti umani e ideali.

lunedì 29 novembre 2010

Relazione alla prima assemblea del Pd




















Rovigo, 20 novembre 2010



RELAZIONE DEL SEGRETARIO PROVINCIALE ALLA PRIMA ASSEMBLEA DEL PARTITO DEMOCRATICO POLESANO - Rovigo, 20 novembre 2010


Cari amici, cari compagni,


il primo congresso provinciale del Pd polesano è terminato: questa nostra prima assemblea provinciale vuole segnare l'inizio di un nuovo percorso.

Il nostro obiettivo, da oggi, è e sarà quello di lavorare per rilanciare il nostro partito, di preparare insieme le prossime scadenze elettorali e, anche, di lanciare un segnale forte alla società polesana, a quel mondo che "sta fuori" da questa sala.

Con questo primo congresso provinciale, abbiamo cercato di chiudere una lunga, faticosa fase costituente: in questi primi tre anni di vita del Pd abbiamo messo insieme le nostre storie, abbiamo messo insieme storie diverse: Ds, Margherita, socialisti, ma anche tante persone che per la prima volta si sono avvicinate alla politica. Abbiamo anche confermato il nostro ruolo di forza di governo in Provincia, a Rovigo, in tanti comuni.

Sono state, queste, tappe molto importanti, ma oggi crediamo sia necessario lavorare per aprire una pagina nuova. E' necessario aprire una stagione nuova, è necessario un cambio di passo reale per il Pd e per il centrosinistra.

Abbiamo bisogno di abbandonare le vecchie appartenenze, le vecchie identità che ci hanno condizionato e accompagnato fin qui, le eredità politiche e ideologiche del Novecento.

Abbiamo bisogno di innovare profondamente il nostro partito: innovare la sua classe dirigente, ma soprattutto la sua cultura politica.

Abbiamo bisogno, in definitiva, di creare - insieme - una nuova sintesi riformista.

Che cosa significa "sintesi riformista"? Un atto di responsabilità e lungimiranza. Significa che il nostro riformismo non si definisce più in relazione al nostro passato, né in relazione alle nostre più o meno antiche radici e provenienze. E' giusto che ognuno di noi rivendichi con orgoglio e con passione la propria storia politica, la propria originaria scelta di militanza, ma tutto questo non può tornare a dividerci o essere elemento di polemica: il Pd deve saper guardare avanti.

Il nostro riformismo, dunque, si definisce oggi e si definirà sempre più in base alle scelte concrete, in base alle decisioni che sapremo prendere, in base al futuro che sapremo immaginare e costruire per il nostro territorio.

Accettare la sfida riformista è avere il coraggio di cambiare: cambiare per andare oltre, per progettare il futuro di Rovigo e della nostra provincia, per costruire un nuovo centrosinistra e un nuovo Pd, più vicino alla gente e ai problemi reali, ai bisogni e alle aspettative della realtà polesana.

Per fare questo, dovremmo saper tenere insieme concretezza e innovazione.

Costruire il profilo riformista del Pd significa anzitutto adoperarci per cambiare il partito. Dobbiamo premiare il merito, le competenze, le individualità, le energie più fresche e più interessanti.

Il rinnovamento, tema che è stato largamente sollevato e dibattuto nelle nostre assemblee di circolo, oltre che da iniziative come quella di Renzi e Civati, costituisce un problema reale e pressante. Tuttavia, per noi, non è una questione meramente anagrafica. Rinnovare il Pd non può voler dire soltanto prepararsi a "rottamare" pezzi di ceto politico, ma è un compito alto, che implica la necessità di ripensare il partito più in profondità, la necessità di disegnare un partito inclusivo, aperto, plurale, capace di tenere insieme e di far coesistere positivamente gli elementi di novità con le sensibilità, le culture, le esperienze consolidate e significative che hanno diretto il partito in questi anni.

Cambiare il partito deve inoltre significare cambiare il nostro "modo" di essere partito: immaginare e provare a costruire un Pd più aperto alla società, un Pd che discute e si confronta - anche animatamente, aspramente - ma decide e definisce con chiarezza la propria agenda, un Pd capace di sperimentare nuove forme e nuove modalità di partecipazione alla vita politica.

Le primarie rimangono per noi un elemento essenziale per la vita del partito e per la scelta delle candidature, a tutti i livelli. Siamo nati, nel 2007, con questo tipo di elezioni e oggi avvertiamo l'urgenza di riannodare il filo di un rapporto positivo con il "popolo delle primarie", che in più occasioni ha dato prova di "crederci", di vedere nel Pd una speranza concreta per il proprio futuro.

Pensiamo anche alla possibilità di promuovere larghe consultazioni degli iscritti, su temi e questioni che potranno meritare l'interesse degli aderenti al Pd polesano.

Pensiamo alla possibilità di istituire una anagrafe provinciale delle competenze, come strumento che consenta di favorire in modo trasparente il merito e la competenza nelle file del nostro partito.

Pensiamo che i circoli debbano contare di più. Ho intenzione di riunire quanto prima i circoli democratici e di istituire un nuovo organismo: la consulta dei coordinatori di circolo, che avrà il compito di dare precisi indirizzi e di vagliare proposte concrete in merito alla presenza e all'organizzazione del nostro partito in Polesine.

E' inoltre necessario aprire le nostre sedi nel territorio. Aprirle "al" territorio. Le sedi del Pd devono poter diventare dei punti di riferimento reali non solo per gli iscritti e i militanti, ma per tutti i cittadini che abbiamo la volontà di impegnarsi nella vita pubblica o anche semplicemente di far conoscere idee, progetti, problemi concreti. Ma oltre alle sedi, oltre alle "vecchie" sezioni, oggi esistono altri mondi con cui il nostro partito deve entrare in contatto e saper interloquire, a cominciare dalla realtà "virtuale" del web, veicolo di partecipazione per tanti cittadini.

Ed eccoci alle alleanze. Il Pd vuole essere il perno di un nuovo centrosinistra, il perno di un centrosinistra rinnovato e più vicino alla società polesana, alleanza per il governo di Rovigo e della nostra provincia.

Abbiamo di fronte alcune scadenze fondamentali. Le amministrative della primavera 2011 a Rovigo e Adria, ma anche in altri centri importanti del Polesine: Rosolina, S. Martino, Ceregnano, Canaro, Ficarolo. Queste elezioni - senza dimenticare l'eventualità di elezioni politiche anticipate, che rimane sullo sfondo - costituiranno un banco di prova decisivo per il nostro partito.

Il nostro obiettivo è quello di confermare la guida del capoluogo e di competere per vincere negli altri comuni chiamati al voto, avendo la consapevolezza che oggi gli amministratori del Pd rappresentano un patrimonio importante e prezioso non solo per il partito, ma per l'intera comunità polesana.

Non mancano purtroppo - lo si è visto nel congresso - le divisioni e le fibrillazioni interne al partito. Abbiamo il dovere di affrontarle con misura e con responsabilità, per cercare di ricucire gli strappi e mediare le diverse posizioni. Siamo però costretti a soffermarci brevemente su quanto accaduto a Fiesso Umbertiano, con le dimissioni dal partito del sindaco e di parte della giunta comunale: un fatto grave. Dietro la cortina delle accuse generiche e indiscriminate lanciate al partito passato e presente, crediamo di intravedere in questo caso ragioni assai meno nobili. Il nostro partito, voglio dirlo con forza, non ha bisogno di opportunismi e non ha bisogno di doppie morali.

Il nostro Pd è chiaramente alternativo a Pdl e Lega. E' un partito che desidera rafforzare la presenza del centrosinistra e mantenere un confronto serrato con le forze che oggi si riconoscono in questo modello, con Psi, Idv, Sel, Federazione della sinistra, ma anche con le diverse componenti civiche e moderate che collaborano già oggi con noi nelle amministrazioni.

Vogliamo tuttavia ribadire che le alleanze si realizzano e si costruiscono sulla condivisione di contenuti, sui programmi, sui progetti. Le alleanze possono essere vincenti e aprire una prospettiva di cambiamento sul territorio se sono fondate sulla chiarezza.

Il Pd che immaginiamo e che vogliamo cercare di costruire è un partito che guarda al centro: guardare al centro significa per noi cercare il dialogo con l'Udc e con le altre forze che presidiano questo spazio politico, ma soprattutto guardare al centro della società, alle energie più vive e dinamiche della società polesana, al mondo delle professioni e all'associazionismo, alla piccola e media impresa ecc. E' un Pd che vuole tener fede alla propria premessa costitutiva: essere un patto tra moderati e riformisti, essere un soggetto realmente autonomo, una forza di governo credibile e responsabile, che non vuole rincorrere la destra, né essere schiacciata a sinistra.

Oggi dobbiamo rilevare e mettere in evidenza le difficoltà oggettive del centrodestra, in ambito nazionale come in ambito regionale e locale. Stiamo assistendo a quello che pare ormai essere il crepuscolo del berlusconismo. Un modello che ha condizionato pesantemente più di quindici anni della vita di questo Paese e che lascia dietro di sé una serie di risultati negativi.

E se guardiamo, qui in Veneto, ai primi mesi della giunta Zaia gli esiti non sembrano davvero migliori: dal "buco" della sanità regionale, alla gestione delle ultime alluvioni, fino ad una decisione che in queste ultime ore ha riguardato il territorio polesano: il commissariamento del Parco del Delta. E', questa, una decisione che umilia il nostro territorio, la scelta di una Regione miope e lontana, ultimo esempio di negazione del federalismo e di "non governo" delle questioni. Nei prossimi giorni, riuniremo amministratori e quadri bassopolesani per fare insieme il punto della situazione e lanciare le nostre proposte.

Non possiamo ovviamente non riferirci a quanto successo ad Adria nei giorni scorsi, con la caduta dell'amministrazione di centrodestra guidata da Barbujani: se un insegnamento possiamo trarre da questa vicenda, è che una volta di più si è dimostrato concretamente come l'antipolitica portata al governo sia destinata al fallimento.

La competizione con la Lega sarà, credo, un fattore che inciderà profondamente sulla vita del nostro partito nei prossimi anni. Il Pd polesano, con il suo bagaglio di esperienze, di progettualità, di passioni e con la sua cultura di governo, potrà essere il vero partito delle autonomie, un partito alternativo ai populismi di destra e ai populismi di sinistra. Un moderno partito di programma.

Niente pasticci, niente "inciuci" con la Lega, dunque. Respingiamo anche con nettezza quella visione pericolosa che dice: "nel capoluogo si deve fare l'alleanza di centrosinistra, altrove tutto (o quasi) è possibile". Questo tipo di ambigua condotta oggi non sarebbe più comprensibile agli occhi dei nostri elettori e finirebbe per compromettere il profilo alternativo del nostro partito.

Il percorso che vogliamo avviare deve necessariamente basarsi su alcune opzioni di fondo e su alcune indicazioni programmatiche ben precise. Il Pd vuole essere il partito di una moderna "rivoluzione liberale" per la nostra provincia.

1. Il Pd polesano si propone di rilanciare con determinazione l'idea di Rovigo capoluogo, di un centro propulsore per la crescita e lo sviluppo dell'intero territorio polesano. Il nostro futuro deve essere pensato e deve poter nascere qui, non a Roma, né a Venezia. Da questo punto di vista, le elezioni amministrative di Rovigo rappresentano una scadenza fondamentale per mettere alla prova questo disegno strategico. La Provincia, "casa dei comuni", ed un ente come il Consorzio per lo Sviluppo dovranno ugualmente avere un ruolo centrale nella elaborazione concreta di una precisa visione del territorio, di una "governance" pensata su misura per la nostra realtà, di un modello di sviluppo che sia effettivamente sostenibile e diverso da quello che ha riempito di "capannoni" larghe aree del Nordest negli anni Novanta.

2. Il Pd polesano vuole essere "il partito del sì": un partito che, come detto, si assume fino in fondo la responsabilità di governare lo sviluppo e desidera creare le condizioni migliori per portare lavoro e nuove opportunità di crescita in questa provincia. Crediamo alla necessità di costruire una provincia a misura d'uomo e più competitiva. Crediamo cioè alla necessità di:

attirare nuovi investimenti economici e infrastrutturali sul territorio;

scommettere nella formazione delle nuove generazioni di polesani, a cominciare dalla nostra Università e da un sistema scolastico che sappia intercettare i cambiamenti in atto nella società e nel mondo del lavoro;

completare le infrastrutture che servono allo sviluppo del territorio (Nogara-Mare, Romea commerciale ecc.), comprese le sempre più fondamentali infrastrutture di carattere immateriale (es. Internet veloce per famiglie e imprese).

Una questione come quella della riconversione della centrale Enel di Polesine Camerini non può più essere l'oggetto di un lacerante dibattito ideologico al nostro interno. Oggi dobbiamo essere pronti a raccogliere la sfida dello sviluppo e, insieme, a garantire il territorio, cercando la giusta sintesi tra la creazione di nuovi posti di lavoro e la sicurezza ambientale.

3. Il Pd polesano intende rilanciare il Parco del Delta come strumento essenziale per la crescita e lo sviluppo della nostra provincia, superando ogni visione burocratica legata a questo ente. Pensiamo ad un Parco interregionale, ad una stabile alleanza tra Veneto ed Emilia al servizio del Delta. Questa idea di Parco potrà finalmente tenere insieme la difesa del territorio e la qualità della vita, la tutela dell'ambiente e le ragioni dell'economia, cominciando dalle sicure potenzialità offerte dal turismo. Abbiamo però bisogno di abbandonare quella perniciosa "logica del campanile", che spesso ha penalizzato le nostre realtà e ha impedito di poter crescere insieme. L'altra grossa risorsa ambientale da valorizzare, con il Delta, è naturalmente il corso del Po: occorrerà certamente pensare ad una strategia coordinata di salvaguardia e sviluppo del territorio.

4. Il Pd polesano si propone di promuovere una gestione più razionale di enti e servizi pubblici. La semplificazione amministrativa deve essere accompagnata da una precisa strategia di ottimizzazione e razionalizzazione di enti e servizi, che devono essere resi sempre più vicini ai cittadini e sempre più efficienti. Una strategia da perseguire senza preclusioni di sorta, ma guardando alla collaborazione con tutti i soggetti "di buona volontà" presenti sul territorio. In particolare, guardiamo con favore anche alla positiva discussione che nell'ultimo periodo si è aperta, ad esempio nell'area del Delta, intorno ad una proposta di "unione dei comuni". Noi pensiamo all'unione di comuni come ad un nuovo modello di "governance" del nostro territorio, opportunità da cogliere per la co-gestione di servizi essenziali e per la creazione di nuove occasioni di sviluppo (dobbiamo inoltre seriamente riflettere sul fatto che l'80% dei comuni polesani ha meno di 5.000 abitanti).

Ci aspetta, come abbiamo visto, un periodo denso di scadenze e di appuntamenti. Cercherò, da segretario, di lavorare per tenere unito il nostro partito e cercherò di ascoltare le voci di tutti. Credo che sarà necessario mettere da parte le divisioni e i personalismi, in queste prossime settimane, riconoscendo quella che è una verità elementare: gli avversari da sconfiggere non stanno dentro il Pd, ma sono fuori dal partito. Se agiremo in questo senso, rilanciando l'iniziativa del Pd, avremo compiuto un passo in avanti importante e potremo guardare alla sfida elettorale con rinnovata fiducia. L'unità di un partito va continuamente costruita e ricostruita, cercando di mantenere viva e aperta la discussione, ma senza ignorare che saremo capaci di incidere nella realtà nella misura in cui sapremo anche "fare sintesi" e giungere a decisioni significative.

Vorrei concludere questa relazione citando una frase di Don Milani da Lettera a una professoressa, una frase che ho sentito recentemente richiamare da Benedetta Tobagi, figlia del giornalista Walter Tobagi e autrice di una bellissima biografia del padre: "Ho scoperto che il mio problema è uguale al problema degli altri. Sortirne insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia".

Il mio auspicio è di poter affrontare questa nuova fase politica, insieme a voi, senza dimenticare queste parole. Grazie.


Diego Crivellari

giovedì 11 novembre 2010

Le danze del XX secolo








Oggi il presidente Giorgio Napolitano è in Veneto... e mi è ritornato in mente il testo di questa canzone, di qualche anno fa, una canzone che racconta dell'Italia e della sua gente...

"Crescono gli avventurosi flussi transoceanici
di poveri contadini in cerca di fortuna
e mentre muore Umberto I re di Savoia
qualcos’altro nasce, si chiama movimento operaio.
Questa è la prima danza, la danza del quarto stato
e questo è il primo messaggio: 'L’arte per l’umanità'.

Cresce la produzione dell’industria bellica.
si apre l’abbraccio dell’Ansaldo, l’Ilva, la Fiat
e mentre canzoni e poesie parlano di guerra
il mondo si unisce nel modo più triste.
E’ la seconda danza, la danza della propaganda
è il secondo messaggio: 'Viva Tripoli italiana'.

E mentre la democrazia inizia a morire
un vento appiccicoso soffia forte da destra,
poche barricate per arginarne il furore,
Ordine nuovo ed il partito popolare.
Questa è la terza danza, la danza a tempo di marcia
e questo è il terzo messaggio: 'Bonifica integrale'.

Nascosti nelle soffitte buie e polverose
gli audaci ed i sovversivi scoprono Radio Londra
e mentre nasce la Balilla, diecimilaottocento lire
'l’auto che va finalmente verso il popolo'.
Questa è la quarta danza, la danza di giovinezza
e questo è il quarto messaggio: 'Toscanini non la dirige'.

Gli artigli minacciosi di uomini perniciosi
puntano senza capire su terre da conquistare,
scoppia come un cocomero caduto da un carrettino
un mondo senza difese né lacrime per esitare.
Questa è la quinta danza, la danza della Repubblica
e questo è il quinto messaggio: 'Viva la democrazia'.

Risorti dalle ceneri, fedeli al Patto Atlantico,
guardiamo con meraviglia al miracolo economico.
Coppi campione del modo, Trieste italiana
e mentre nasce l’Eni arriva anche la 'Seicento'.
Questa è la sesta danza, la danza di 'Grazie dei fiori'
e questo è il sesto messaggio: 'Viva la televisione'.

E le conquiste delle donne, le conquiste della Nato
la censura ed il sequestro di 'Je t’aime moi non plus',
la sconfitta dell’Italia, 4 a 1 dal Brasile,
molti non tramonteranno: Kennedy, Hendrix, Luther King.
E’ la settima danza, la danza dei figli dei fiori
è il settimo messaggio: 'Occupazione ad oltranza'.

Le bombe nelle piazze, le bombe sotto i treni,
cresce il movimento, arriva il compromesso,
ora si può abortire e anche divorziare
impazzano le brigate dritte al cuore di Roma.
Questa è l’ottava danza, la danza dell’austerità,
è l’ottavo messaggio: 'Modica quantità'.

Si spunta la vecchia falce, si innalza la nuova quercia,
c’è chi si dissocia e c’è anche chi si pente,
arriva un bastimento di fratelli sfortunati,
ospiti inaspettati in una casa dissestata.
Questa è la nona danza, la danza delle cadute,
questo è il nono messaggio. 'Italia campione del mondo'.

Ormai a questa candela resta poco da bruciare,
solo una piccola luce per un valzer da strisciare,
'pensi che staranno bene insieme in questa canzone
un computer americano e le launeddas di Muravera?'.
E’ la decima danza, la danza di fine secolo,
è il decimo messaggio: 'Noi cresceremo'".

(Tazenda, 1997)

giovedì 4 novembre 2010

Verso il congresso del Pd polesano





















IL PARTITO DEMOCRATICO E LE SFIDE DEL FUTURO

UNIRE I RIFORMISTI POLESANI, COSTRUIRE E RADICARE IL PARTITO SUL TERRITORIO, APRIRE UNA NUOVA STAGIONE POLITICA ALL'INSEGNA DEL CAMBIAMENTO

1.

Il risultato delle ultime elezioni regionali consegna un quadro politico difficile al centrosinistra e al Partito democratico, a livello nazionale come in Polesine: al calo di consensi quasi generalizzato si unisce un diffuso senso di preoccupazione tra iscritti e militanti per le scadenze future e per le prospettive del partito nel suo complesso.

Come provare ad uscire da questa situazione? Ripartendo dalla politica. Oggi il Pd polesano è obbligato dalla propria “ragione sociale” a definire una chiara linea di alternativa: una linea di alternativa che, insieme ad una forte proposta politica, diversa dalle promesse e dagli slogan elettorali di Pdl e Lega e in grado di interloquire concretamente con la società civile, sappia tuttavia anche tracciare una cesura rispetto ad alcune scelte del recente passato e ridare speranza alla gente.

Per fare questo è davvero necessario un "cambio di passo", ma questo cambio di passo evocato da molti può avvenire soltanto sulla base di una netta opzione riformista, una opzione culturale e politica che il Pd deve fare propria senza ambiguità e senza incertezze e che implica, in qualche modo, una seria "revisione" di quanto avvenuto nei primi anni di vita del partito.

Scelta riformista come metodo e come valore, ma anche come unica opportunità per cercare di definire una credibile identità del progetto del Pd, una prospettiva unificante, oltre quella che è stata troppo spesso percepita, anche dal nostro elettorato, come una semplice giustapposizione di vecchie appartenenze e scuole politiche.

E’ proprio dal Partito democratico che dobbiamo ripartire per costruire un progetto di governo e una alternativa alle destre di Pdl e Lega: dobbiamo cioè recuperare uno spirito rivolto al cambiamento, coerente con le ragioni che hanno portato al superamento di Ds e Margherita e alla nascita del Partito democratico. Il Partito democratico deve dare vita a un modello di partito che risponda a requisiti rigorosi di democrazia e trasparenza e sappia essere punto di riferimento essenziale del territorio.

Il nostro partito è nato non per essere una sigla tra le altre sigle del mercato elettorale, ma per dare un chiaro segnale di discontinuità rispetto a vecchi modi e vecchi metodi della politica tradizionale, per avvicinare alla politica persone che fino ad oggi non hanno visto nei partiti tradizionali dei luoghi nei quali poter impegnarsi attivamente; un partito che è nato per dare una casa comune ai riformisti e ai progressisti, per unire il meglio delle culture politiche e delle storie che hanno edificato la democrazia in questo Paese.

Il nostro obiettivo deve essere ambizioso: abbiamo il dovere di creare le condizioni perché il Pd continui ad essere il partito guida di questo territorio per i prossimi anni, un luogo di elaborazione politica e culturale. Il futuro della nostra provincia deve essere pensato proprio qui, in Polesine, e non può essere l’esito di strategie e di visioni che vengono formulate altrove; sarà un futuro la cui costruzione andrà necessariamente motivata, argomentata, "qualificata", puntando sulle idee migliori, sulle competenze e sulle capacità di elaborazione progettuale che esistono – e sono molte – anche in loco.

Facendo leva sul coinvolgimento di iscritti e di militanti, sarà possibile produrre una proposta politica autonoma e aderente a quelle che sono le reali esigenze del Polesine. Valorizzare i circoli, valorizzare le persone è oggi un vero aspetto decisivo del futuro del Pd. Il Pd dovrà dimostrare anche di essere in grado di promuovere veramente quelle che sono le sue eccellenze, i suoi giovani e i suoi dirigenti locali migliori, di far vivere la propria esperienza in mezzo alla gente, sulla base di idee e progettualità, da mettere al servizio della nostra terra. Occorre ricreare e rilanciare una idea forte di militanza e di appartenenza, e occorre ripensare i circoli anche come luoghi possibili di una socialità “gratificante” per donne, uomini, giovani, anziani, lavoratori. Alla vecchia "pedagogia" dei vecchi partiti novecenteschi, organizzata su base centralistica e ideologica, e che pure ha avuto una funzione essenziale nell'edificazione del nostro sistema democratico, deve oggi subentrare un modello più flessibile, dinamico, partecipativo, non gerarchico, aperto alla società e all'individuo.

Si tratta, ovviamente, di un cambiamento che tocca da vicino anche il Pd polesano, cioè una forza politica in cui oggi confluiscono un gran numero di esperienze e di “storie” provenienti da partiti di massa come il Psi, il Pci-Pds, la Dc. Eredità importanti, significative, che rappresentano un patrimonio politico enorme, ma che, sul piano dell'organizzazione, rischiano di essere eredità ancor più pesanti e possono difficilmente tradursi nell'applicazione di schemi adeguati al presente, senza una adeguata, coerente, compiuta revisione di modelli e categorie del passato.

2.

La nascita del Partito democratico è stata un momento di grande speranza per la politica italiana: per la prima volta nella storia repubblicana è sembrato finalmente essere vicino l’obiettivo di unire le diverse forze riformiste di questo Paese – realtà storicamente divise da aspre contrapposizioni e contese ideologiche. Gli accadimenti imprevisti di questi ultimi anni – crisi e caduta del governo Prodi, sconfitta elettorale del Pd, avanzata del centrodestra e della Lega nella società italiana prima ancora che nelle urne – hanno evidenziato come il percorso che abbiamo inaugurato con le primarie del 2007 sia ancora da portare a compimento: il Partito democratico dovrà quindi cercare di essere all’altezza di quelle che erano le aspettative legate alla sua nascita e per fare questo è oggi necessario puntare su una sostanziale discontinuità rispetto al passato, puntare sull’innovazione politica e culturale, ad ogni livello.

Pensiamo ad un partito in grado di sperimentare da subito nuove modalità di partecipazione e di condivisione. Pensiamo ad un partito più orizzontale, capace di lasciarsi alle spalle una organizzazione spesso troppo rigida, scarsamente flessibile nella mentalità prevalente di molti dirigenti come nelle forme decisionali e nelle occasioni di partecipazione che sono praticate abitualmente in ogni ambito. Pensiamo ad un partito laico, libero, aperto, moderno, europeo, che sappia essere un effettivo luogo di elaborazione politica rivolto al futuro e non un semplice contenitore in cui siano accorpate vecchie identità. Pensiamo ad un partito in grado di esprimere un nuovo pensiero riformista, vicino ai problemi e alle sfide epocali del nostro tempo: sviluppo sostenibile, cultura delle libertà e dei diritti, difesa dell’ambiente, tutela del lavoro.

Pensiamo, infine, ad un partito che sia capace di organizzarsi "in rete", mettendo in relazione le esperienze e le competenze che sono presenti sul territorio, facendo leva sul coinvolgimento di iscritti e di militanti, producendo una proposta politica autonoma e calibrata su quelle che sono le reali esigenze del Polesine, esito di un dibattito largo e veramente plurale, nella convinzione che il "capitale umano" sia il vero aspetto decisivo della vita del Pd. Occorre pertanto passare da una logica di appartenenza ad una aggregazione sulla base di idee e progettualità, al servizio di tutto il Partito democratico. Questa è la condizione per poter pensare – o ripensare – il nostro partito come casa comune di tutti i riformisti polesani, una casa aperta e accogliente per chiunque voglia contribuire a costruire una politica nuova, concretamente, giorno dopo giorno.

3.

Il Pd dovrà adoperarsi per costruire una alternativa reale alla Lega e alle destre e presentarsi come un moderno partito di programma, che guarda in avanti, si attrezza per leggere la "società complessa" e presenta le proprie proposte a tutti i cittadini, sui temi che interessano ai cittadini. La battaglia si svolge anche sul terreno culturale: occorrono studio e riflessione, coinvolgimento e discussione. La partecipazione è la prima alternativa al modello di personalizzazione promosso dal Pdl, o alla retorica dei "duri e puri" portata avanti dai leghisti nostrani. Se, per esempio, il diritto alla sicurezza è qualcosa di essenziale per la nostra società, una forza di governo responsabile come il Pd ha il dovere di affrontare questo problema senza ricorrere alla demagogia. Altra cosa, infatti, è coltivare in modo sistematico il pregiudizio, fomentare sentimenti di ostilità o pensare di praticare l'esclusione. La crescente preoccupazione di larghi strati della nostra società in merito alla sicurezza, tematica talora amplificata a dismisura dai mezzi di comunicazione e dai guasti di una politica dissennata (che in sede regionale e nazionale vede protagonista il centrodestra), mette in discussione i fondamenti del nostro vivere civile e chiama in causa l'essenza della nostra democrazia. Merita pertanto di essere affrontata in maniera responsabile. L'unico modo corretto per uscirne è tornare a parlare il linguaggio delle regole, dei diritti e della legalità, senza ambiguità e senza rincorrere facili posizioni, ma anche senza reticenze, affiancando allo lotta contro la criminalità una seria strategia di integrazione.

La competizione con Lega e Pdl deve avvenire oggi non sul terreno della sterile polemica, ma sul terreno dei valori e delle scelte, mettendo in luce le contraddizioni e le promesse mancate del centrodestra, sia in ambito nazionale che in ambito locale, dalla crisi economica ai problemi del lavoro e dell'ambiente, dai tagli alle amministrazioni pubbliche alla "controriforma" dell'istruzione. Da questo punto di vista, il Pd polesano, che attualmente guida l'unica provincia del Nordest amministrata dal centrosinistra, deve essere consapevole di portare su di sé una doppia responsabilità. La doppia responsabilità di un partito che è forza di governo nel proprio territorio e che tuttavia deve incalzare in maniera incisiva e costruttiva il centrodestra, puntando a prendere in esame e a criticare (anche aspramente, se necessario) le concrete scelte di governo centrale e amministrazione regionale e, in senso più ampio e generale, prospettando una alternativa complessiva al modello politico e culturale, su più fronti dimostratosi fallimentare, del centrodestra.

Per fare questo serve un partito orizzontale e inclusivo. Il Pd ha l'obbligo di lavorare per rafforzare e ampliare il centrosinistra ad ogni livello. Un punto importante è dato dal dialogo che deve essere garantito con quelle forze che già oggi concorrono a rappresentare il centrosinistra, dal Psi all'Idv, da Sel e dalla Federazione della Sinistra alle componenti civiche e moderate presenti in varie amministrazioni. Il nostro obiettivo prioritario è quello di costruire un centrosinistra che guarda con attenzione anche verso i settori più moderati della società e vuole proporsi come forza di governo credibile. Vogliamo tuttavia anche respingere l’idea di un partito che definisce la propria linea politica in ambito locale guardando in modo semplicistico alle piccole convenienze o accodandosi ad altre forze politiche per conquistare spazi di mera sopravvivenza. L’obiettivo perseguito nelle amministrazioni locali deve essere quello di allargare l’area del consenso per il centrosinistra, in un quadro di chiarezza dei rapporti e di compatibilità amministrativa e politica: questo è il terreno su cui lavorare in Polesine per affrontare la prossima tornata amministrativa del 2011, a cominciare da un appuntamento decisivo come quello rappresentato dalle elezioni comunali di Rovigo e senza naturalmente tralasciare l'eventualità di elezioni politiche anticipate.

Per avviare una nuova stagione politica è anche necessario lavorare insieme per cambiare e rinnovare la classe dirigente del Pd: dobbiamo promuovere una nuova generazione protagonista, nelle amministrazioni e nel partito, per radicare maggiormente il Pd nel territorio. Ed è sempre in questa ottica che dobbiamo impegnarci a promuovere primarie e ampie consultazioni per le cariche elettive, come momenti di scelta, ma anche come momenti di discussione, di rinnovamento e di apertura del partito alla società, senza che questo equivalga ad una sorta di pericolosa "deresponsabilizzazione" dei gruppi dirigenti. Come detto in precedenza, l'elemento della partecipazione di iscritti e di elettori potrà costituire piuttosto un elemento di fondamentale importanza per il rilancio della vita del partito e per la sua aderenza al territorio.

Il Pd deve inoltre riaffermare con decisione la laicità della politica: il nostro obiettivo è costruire un partito plurale e pluralista, un partito di centrosinistra in cui la differenza e le differenze siano un valore e non un ostacolo. Per questo il Pd non può essere un fragile compromesso tra cattolici e laici, ma deve saper affermare la laicità come valore positivo, come metodo di ricerca e di azione. Il partito deve avere un ruolo centrale nello scenario politico, coltivare la propria autonoma iniziativa e non può voler delegare a nessun altro soggetto politico la rappresentanza di interessi e di "pezzi" di società.

Il nostro partito deve riconoscere come prioritaria l’importanza del mercato e della concorrenza, contro ogni velleità dirigista, centralista, corporativista. Promuovere una cultura dell’efficienza e del merito. Valorizzare le individualità. Creare le condizioni per rafforzare il "capitale sociale" e il "capitale umano" del nostro territorio: scuola, formazione e università hanno un ruolo centrale. Per noi, "riformismo" non è un concetto astratto, né un ideale irraggiungibile: riformismo significa dare risposte concrete su problemi che si "chiamano" lavoro, diritti, ambiente, governo del territorio ecc. Significa adoperare le categorie e gli strumenti più adeguati ai problemi, sapendo parlare la lingua del proprio tempo. Significa riconoscere e promuovere gli investimenti economici e infrastrutturali, che possono portare lavoro e ricchezza nel nostro territorio, rifiutando ogni logica aprioristica e ogni estremismo, ma anche sapendo rivendicare benefici immediati per le popolazioni locali e considerando come prioritaria la dimensione della sicurezza ambientale e della salute dei cittadini.

E’ altresì indispensabile che il Pd sappia incarnare in modo nuovo un pensiero "altro", un modello di sviluppo riconoscibile e soprattutto credibile, cercando da subito di costruire il percorso – faticoso eppure necessario – verso uno sviluppo in grado di far leva sulle vocazioni e sulle opportunità del territorio, in cui il ruolo delle pubbliche amministrazioni sia di reale indirizzo e di reale programmazione: c’è bisogno di tornare ad un ruolo forte e autorevole della politica, ad un ruolo di proposta e di interpretazione attiva di fasi, problemi e processi. Bisognerà inoltre rimettere al centro del nostro agire l’individuo, la persona, la qualità della vita ed un’idea di crescita armonica e condivisa del territorio, un’idea che sia capace di conciliare le ragioni della produttività con quelle dell’ambiente, in maniera non forzata e senza sacrificare nessuno di questi aspetti, imparando a guardare avanti anche in momenti difficili come l’attuale. In breve: imparare ad "organizzare il buon vivere" della nostra comunità e a cogliere le opportunità che si presentano.

Il partito deve pensare ad un nuovo modello di sviluppo per il Polesine e stabilire alleanze con i settori più dinamici e produttivi della società polesana. Oggi è necessario stimolare un vero e serio confronto programmatico, che disegni il profilo di forza autonoma e di governo del Pd polesano. Occorre scommettere sulle potenzialità del Polesine: il turismo, l'agricoltura, la pesca, la piccola e media impresa. Il programma della giunta provinciale guidata da Tiziana Virgili contiene una serie di punti e di indicazioni assai significative, che potranno contribuire ad aprire una fase di modernizzazione "dolce" del nostro territorio e sostenere l'elaborazione programmatica del Pd nei prossimi mesi. L'ambiente, in particolare, con gli elementi di innovazione contenuti nei principi della "Green economy", potrà costituire finalmente un autonomo fattore di crescita e di sviluppo, in grado di coniugare parametri economici e qualità della vita, diffusione di una nuova imprenditorialità diffusa e di una cultura del territorio. La realizzazione delle necessarie infrastrutture digitali (ad es. internet veloce) e il completamento delle infrastrutture "pesanti" (Nogara-Mare, Nuova Romea ecc.) dovrà avvenire all'interno di un quadro armonico di sviluppo che consideri l'esigenza di concepire utili sinergie con le aree limitrofe, nonché di promuovere l'intermodalità e la peculiarità delle diverse reti di trasporto, la piena valorizzazione delle nostre potenzialità turistiche e ambientali, a cominciare dal Parco del Delta e dalle vie d'acqua che connotano da sempre l'identità del Polesine. Ed è sempre all'interno di questo quadro complessivo di compatibilità con il territorio che andranno studiati e considerati con attenzione anche eventuali grandi insediamenti industriali.

In aggiunta, appare impensabile uscire dalla crisi e tornare a crescere, specialmente per un territorio come quello polesano, troppo spesso schiacciato dalle priorità e dagli interessi di aree più forti, se non viene affermata la centralità del nostro "capitale umano". Ciò significa credere che l’investimento più vantaggioso che si possa fare è quello che riguarda istruzione, formazione, conoscenza. Fare in modo che possano sorgere nuove occasioni per la ricerca. Valorizzare la competenza, la concorrenza, il merito ad ogni livello. I partiti e le forze sociali ed economiche polesane devono assumersi oggi una responsabilità in più: è illusorio ritenere che questo cambiamento possa essere generato spontaneamente, "dal basso". Bisogna creare le condizioni affinché sia possibile produrre nuova classe dirigente a mezzo di classe dirigente, proprio partendo dal ruolo propulsivo del ceto politico e delle amministrazioni pubbliche, che dovranno essere in grado di aprirsi e collegarsi con le cosiddette minoranze attive, con i settori migliori e più competenti della società, rinunciando alle cooptazioni e agli "ingressi laterali". Un salto di mentalità epocale, forse, ma necessario per evitare la puntuale riproposizione di quel luogo comune che vuole il Polesine eterna terra di conquista per interessi in larga parte extra-polesani.

Lavorando su queste basi politiche e programmatiche sarà possibile riuscire a lavorare insieme per cercare di rafforzare il nostro partito e per affrontare le prossime scadenze elettorali con fiducia e con entusiasmo, aprendo una nuova prospettiva per Rovigo e per il Polesine. Ed è all'interno di questo scenario che si inserisce il ruolo di un partito che deve adoperarsi per costruire il proprio futuro, guardando decisamente in avanti, avendo il coraggio di lasciare definitivamente alle spalle le proprie divisioni interne e soprattutto tornando ad esprimere una politica più in sintonia con il territorio, una politica che possa effettivamente dare rappresentanza alla gente polesana e che sappia essere ancora una volta all'altezza delle sue migliori tradizioni.

martedì 26 ottobre 2010

Eroi della rivoluzione 2















Un vero cattivo post-moderno. Hank Scorpio, carismatico "deus ex machina" della Globex Corporation e fugace quanto indimenticabile apparizione nella serie "I Simpson". L'episodio originale è "You only move twice".

venerdì 1 ottobre 2010

Sicurezza
















Pochi mesi fa, il presidente francese Sarkozy perde rovinosamente le elezioni regionali e decide il suo “giro di vite” sulla sicurezza. L’obiettivo politico dichiarato della sua azione è quello di recuperare elettori a destra, sottraendoli all’astensionismo e ai neo-fascisti di Le Pen. Che fare, allora? La migliore scorciatoia, per Sarkozy, è stata quella di puntare in maniera spregiudicata sul “rimpatrio assistito” dei rom: sgomberare i loro poveri campi e poi spedirli in quelli che si presume essere i loro paesi di origine. Un gruppo da sempre marginale ma ben individuabile, debole e privo di sostegni, oggetto di pregiudizi, voci e “leggende” di vario segno, che allignano un po’ dappertutto nell’opinione pubblica. Si tratta di cittadini comunitari? Con queste azioni si calpestano i diritti umani e le normative europee? Pazienza. Nella società mediatica, spesso, ciò che conta maggiormente è l’effetto annuncio e non la volontà effettiva di risolvere un problema. Berlusconi docet. E infatti il governo italiano, nei giorni scorsi, sceglie di accodarsi alla sua sorella latina, nonostante lo sconcerto dei partner europei.

Una causa, quella dei rom, che evidentemente non ha mai suscitato troppe simpatie né troppe adesioni. E questo è un dato storico. Il termine Porajmos o Porrajmos indica lo sterminio delle popolazioni rom che fu organizzato dal regime nazista durante la Seconda guerra mondiale, ma è tuttora difficile stabilire con precisione quante furono le vittime: i principali studi oscillano tra i 200.000 e il milione e mezzo di morti. Nell’Italia fascista, rom e sinti furono imprigionati in vari campi di concentramento, da Bolzano fino alle isole Tremiti. Rom italiani e di altre nazionalità.

Nemmeno oggi lo spirito dei tempi sembra essere tanto più favorevole. Cerchiamo qualche esempio nella cronaca recente, anche in quella di casa nostra. L’International Labour Organization (ILO), l'agenzia per il lavoro delle Nazioni Unite, nel suo rapporto sull’applicazione delle “Convenzioni e Raccomandazioni internazionali” del del 2009, ha condannato l’Italia per il “clima di intolleranza esistente”, creato dai leader politici rei di usare una “retorica aggressiva e discriminatoria nell'associare i rom alla criminalità, creando così un sentimento di ostilità e antagonismo nell'opinione pubblica”.

Altro esempio. La Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza (ECRI), ha invitato l’Italia ad abbandonare il falso presupposto secondo cui i membri di tali gruppi siano nomadi: un presupposto con cui viene messa in atto “una politica di segregazione dal resto della società”, attraverso la creazione di “campi nomadi”, basati sul principio della presenza temporanea dei rom e privi dei servizi più elementari.

Il diritto alla sicurezza è qualcosa di essenziale per una democrazia. Altra cosa, tuttavia, è coltivare in modo sistematico il pregiudizio, fomentare sentimenti di ostilità o pensare di praticare l'esclusione di determinati gruppi, magari sulla base di argomentazioni apparentemente “democratiche” o paraumanitarie.

Ma è negando qualche casa popolare ai rom (vedi Milano) che saremo più sicuri?

La teoria politica ci dice altro di interessante. I sistemi democratici si sono fondati e si fondano anche mediante esclusioni, esclusioni che tuttavia ritornano ad "ossessionare" i sistemi che si sono edificati sulla loro assenza. Questa ossessione può diventare e spesso diventa politicamente decisiva quando cominciamo a fare i conti con il "ritorno dell'escluso", cioè quando l'escluso costringe ad una complessiva riarticolazione delle premesse della stessa democrazia. Questo vale per gli emarginati dal mercato, per le differenze di genere come per i rom: ogni ordinamento democratico sembra vivere di uno scarto tra una aspirazione universalista (incarnata nelle istituzioni democratiche e che tende ad annullare le differenze) e una congenita eccedenza, un di più, una esclusione che un filosofo ha definito la "parte dei senza parte".

Insomma, la crescente ossessione securitaria di larghi strati della nostra società, amplificata a dismisura dai mezzi di comunicazione e da una politica dissennata, mette in discussione i fondamenti del nostro vivere civile e chiama in causa l'essenza della nostra democrazia. L'unico modo per uscirne da sinistra è tornare a parlare il linguaggio dei diritti, senza ambiguità e senza rincorrere le facili posizioni di chi è alla ricerca del “capro espiatorio”.

venerdì 10 settembre 2010

El Diego



















"Los argentinos son italianos que hablan español y se creen franceses".

Allo scrittore Octavio Paz viene attribuita la seguente frase: "Gli argentini sono italiani che parlano spagnolo e si credono francesi".

Si calcola che metà della popolazione argentina sia di origine italiana.
Da questa evidenza storica ricaviamo un'altra conseguenza.

Maradona è un italiano che parla spagnolo e si crede... Dio (o si crede Fidel Castro?).

giovedì 9 settembre 2010

Segni dei tempi








Berlino.
Le statue del celeberrimo duo Marx-Engels vengono "sloggiate" per fare spazio alla nuova linea della metro.

mercoledì 8 settembre 2010

Controcorrente







Un interessante articolo di Nando Dalla Chiesa, uscito su "Il Fatto Quotidiano" del 18 agosto scorso.
Difficile non citarlo per esteso.

"Sarò onesto: non mi mancherà. Guai se la pietà per la morte offuscasse la memoria e il giudizio che la memoria (viva, ben viva) porta con sé. Non esisterebbe più la storia. E dunque, parlando di Francesco Cossiga, rifiuterò il metodo che gli fu alla fine più congeniale: quello di ricordare i morti diffamandoli, dicendo di loro cose dalle quali non potevano difendersi. Fidando nel fatto che i familiari una cosa sapevano con certezza: che se avessero osato replicargli lui avrebbe inventato altri episodi sconvenienti ancora e poi li avrebbe dileggiati, forte della sua passata carica istituzionale e della compiaciuta docilità con cui la stampa ospitava ogni sua calunnia. Fece così con Moro, con Berlinguer, con il generale dalla Chiesa. Fece così con altri. Era nato d’altronde un autentico genere giornalistico, l’intervista a Cossiga, che consisteva nel mettergli davanti un microfono o un taccuino e ospitare senza fiatare le sue allusioni, le sue bugie.

Da trasformare in rivelazioni storiche, provenienti dal loro unico e inesauribile depositario. Mi atterrò dunque ai fatti che tutti possono pubblicamente controllare. Perché ai tempi fui tra parlamentari che ne chiesero l’impeachement, anzitutto. Perché io il sistema politico di allora, quello che chiamavo il regime della corruzione, lo volevo cambiare per davvero. Ma per renderlo conforme alla Costituzione e a un decente senso delle istituzioni. Perciò mi scandalizzavo nel vedere un capo dello Stato giocare soddisfatto al picconatore, conducendo una massiccia attività di diseducazione civica. Quando poi Cossiga si mise alla testa della lotta contro i giudici, minacciando, lui presidente del Csm, di farlo presidiare militarmente dai carabinieri avvalendosi delle sue prerogative di Capo supremo delle Forze armate, pensai che la misura era colma. Che l’uomo esprimeva una cultura golpista e che era nella posizione istituzionale per tradurla in realtà politica.

Le chiavi di casa e i giudici ragazzini
Perché titolai la storia di Rosario Livatino “Il giudice ragazzino”. Esattamente in polemica con lui, che delegittimava i giovani magistrati che in Sicilia sfidavano la mafia. A questi giudici ragazzini non affiderei neanche le chiavi di una casa di campagna, aveva detto. E Livatino, morto a trentotto anni, aveva compiuto le sue prime coraggiosissime inchieste quando di anni ne aveva ventotto. Avevo imparato dai racconti di mio padre che quando si ha a che fare con la mafia chi ha un grado superiore protegge chi sta sul posto, ci passeggia insieme in piazza perché tutti capiscano. Che non è solo, che ha dietro lo Stato. Lui, capo dei magistrati, aveva invece umiliato sprezzantemente proprio i giudici più esposti negli anni della mattanza. Perchémi astenni, unico nel centrosinistra, sulla fiducia al primo governo D’Alema. Non per oltranzismo ulivista, ma perché non ero certo entrato in parlamento per fare un governo con Cossiga e con ciò che lui rappresentava nella vita del paese e nella mia vita personale. Il testo dell’intervento pronunciato in quell’occasione è agli atti. Allora mi valse richieste di interruzione da sinistra e qualche stretta di mano (tra cui quella di Gianfranco Fini). Perché l’ho spesso citato – ma non quanto avrei voluto – nei libri, negli articoli o negli interventi che avevano per oggetto la vicenda di mio padre.


Veleni attorno a un sacrificio
Perché ho sempre trovato maramaldo quello spargergli veleno intorno dopo il suo sacrificio. Non ho mai capito se fosse il seguito dell’isolamento che il sistema aveva inflitto al prefetto dopo l’ annuncio che sarebbe andato in Sicilia per combattere la mafia per davvero. Ricordo però con certezza che Cossiga iniziò a colpirne l’immagine in vista del maxiprocesso presentandolo con naturalezza come iscritto alla P2. I giudici che avevano indagato a Castiglion Fibocchi, Gherardo Colombo e Giuliano Turone, mi garantirono che loro nella lista quel nome non l’avevano trovato. Lui insisté contro ogni atto giudiziario e parlamentare (della storia ho reso i particolari su “In nome del popolo italiano”, biografia postuma di mio padre, nel 1997). Finché anni dopo ancora raccontò la sua pazzesca verità: per proteggere mio padre Colombo e Turone, giudici felloni, avevano strappato un foglio dall’elenco. Non smise mai di raccontarlo. Così come, per sminuire il lavoro di Giancarlo Caselli e di mio padre contro il terrorismo, sostenne un giorno, poco dopo l’avviso di garanzia per Andreotti a Palermo, che il vero merito del pentimento di Patrizio Peci fosse di un maresciallo delle guardie carcerarie di Cuneo. Costui venne da lì lanciato pubblicamente in orbita giornalistica e televisiva per seminare nuove e inverosimili calunnie su mio padre, alcune delle quali si sono ormai purtroppo depositate negli atti giudiziari (tra i quali rimane però anche, a Palermo, il testo della controaudizione da me richiesta).

Altro verrebbe da dire, dalla memoria di Giorgiana Masi uccisa in quella famigerata manifestazione del ‘77 zeppa di infiltrati in armi, al contrasto avuto con lui in Senato, dai banchi della Margherita, sui fatti della Diaz, che lui, sedicente garantista, avallò senza scrupoli. Come e più che con Giovanni Leone, che non ebbe comunque le sue colpe, avremo probabilmente un mieloso coro di elogi. Poiché l’uomo ha incarnato alla perfezione la qualità media della nostra politica questo è assolutamente naturale. Certo non si porterà nell’aldilà solo i segreti veri di questa Repubblica. Si porterà anche i segreti da lui inventati, le trame inesistenti fatte intravedere, le panzane spacciate per misteri. Riposi in pace, e che nessuno faccia a lui i torti che lui fece alle vittime della Repubblica".

venerdì 3 settembre 2010

Qualche proposta per il Pd






ABBOZZO DI UN MANIFESTO RIFORMISTA PER IL PD POLESANO

Il risultato delle ultime elezioni regionali consegna un quadro politico negativo al centrosinistra e al Partito democratico, a livello nazionale come in Polesine: al calo di consensi quasi generalizzato si unisce un diffuso senso di preoccupazione tra iscritti e militanti per le scadenze future e per le prospettive del partito nel suo complesso.

Come provare ad uscire da questa situazione? Ripartendo dalla politica. Oggi il Pd polesano è obbligato dalla propria “ragione sociale” a definire una chiara linea di alternativa: una linea di alternativa che, insieme ad una forte proposta politica, diversa dalle promesse e dagli slogan elettorali di Pdl e Lega e in grado di interloquire concretamente con la società civile, sappia tuttavia anche tracciare una cesura rispetto ad alcune scelte del recente passato e ridare speranza alla gente.

Per fare questo è davvero necessario un "cambio di passo", ma questo cambio di passo evocato da molti può avvenire soltanto sulla base di una netta opzione riformista, una opzione culturale e politica che il Pd deve fare propria senza ambiguità e senza incertezze e che implica, in qualche modo, una seria "revisione" di quanto avvenuto nei primi anni di vita del partito.

Scelta riformista come metodo e come valore, ma anche come unica opportunità per cercare di definire una credibile identità del progetto del Pd, una prospettiva unificante, oltre quella che è stata troppo spesso percepita, anche dal nostro elettorato, come una semplice giustapposizione di vecchie appartenenze e scuole politiche.

Di seguito elenchiamo dieci punti per la costruzione di questa proposta:

1. Cambiare e rinnovare la classe dirigente del Pd: una nuova generazione protagonista, nelle amministrazioni e nel partito, per radicare il Pd nel territorio e restituire la sovranità al singolo iscritto. Promuovere primarie e ampie consultazioni per le cariche elettive. Il Pd deve tornare ad essere un partito aperto, plurale e contendibile.

2. Meno presenza dei partiti, più trasparenza nelle società pubbliche: liberalizzare i servizi per liberare le energie della politica. Creare una anagrafe delle competenze e mettere il merito e la capacità al primo posto. Mettere al primo posto il cittadino-utente.

3. Lavorare per costruire una alternativa reale alla Lega e alle destre, ma senza ricadere nelle nostalgie e nelle trappole del “c’era una volta”. Il Pd deve essere un moderno partito di programma, che guarda in avanti, si attrezza per leggere la “società complessa” e presenta le proprie proposte a tutti i cittadini, sui temi che interessano ai cittadini. La battaglia si svolge anche e soprattutto sul terreno culturale: occorrono studio e riflessione, coinvolgimento e discussione. La partecipazione è la prima alternativa al modello di personalizzazione promosso dal Pdl, o alla retorica dei "duri e puri" portata avanti dai leghisti nostrani. Serve un partito orizzontale e inclusivo.

4. Riaffermare con decisione la laicità della politica: costruire un partito plurale e pluralista, un partito di centrosinistra in cui la differenza e le differenze siano un valore e non un ostacolo. Per questo il Pd non può essere un fragile compromesso tra cattolici e laici, ma deve saper affermare la laicità come valore positivo, come metodo di ricerca e di azione.

5. Riconoscere l’importanza del mercato e della concorrenza, contro ogni velleità dirigista, centralista, corporativista. Promuovere una cultura dell’efficienza e del merito. Valorizzare le individualità. Creare le condizioni per rafforzare il “capitale sociale” e il “capitale umano” del nostro territorio: scuola, formazione e università hanno un ruolo centrale. E occorre rilanciare il tema della formazione anche dentro il partito.

6. Riformismo non è un concetto astratto, né un ideale irraggiungibile: riformismo significa dare risposte concrete su problemi che si “chiamano” lavoro, diritti, ambiente, governo del territorio ecc. Significa adoperare le categorie e gli strumenti più adeguati ai problemi, significa saper parlare la lingua del proprio tempo.

7. Chiarezza e coerenza nelle alleanze politiche: ciò significa respingere l’idea di un partito che costruisca la propria linea politica in ambito locale guardando alle piccole convenienze o accodandosi ad altre forze politiche per conquistare spazi di mera sopravvivenza. L’obiettivo perseguito nelle amministrazioni locali deve essere quello di allargare l’area del consenso per il centrosinistra, ma in un quadro di chiarezza dei rapporti e di compatibilità amministrativa e politica.

8. Recuperare la vocazione maggioritaria del Pd: ciò significa immaginare un partito che assuma un ruolo centrale nell’arena politica, con la propria autonoma iniziativa, e che non deleghi a nessun altro soggetto politico la rappresentanza di interessi e di “pezzi” di società.

9. Un partito con una strategia. Quale modello di sviluppo per il Polesine e per il Veneto? Quali alleanze stabilire con i settori più dinamici e produttivi della società polesana? Oggi è necessario aprire un vero e serio confronto programmatico, che disegni il profilo di forza autonoma e di governo del Pd polesano. Appare impensabile uscire dalla crisi e tornare a crescere, specialmente per un territorio come quello polesano, troppo spesso schiacciato dalle priorità e dagli interessi di aree più forti, se non viene affermata la centralità del “capitale umano”. Ciò significa credere che l’investimento più vantaggioso che si possa fare è quello che riguarda istruzione, formazione, conoscenza. Fare in modo che possano sorgere nuove occasioni per la ricerca. Valorizzare la competenza, la concorrenza, il merito ad ogni livello. I partiti e le forze sociali ed economiche polesane devono assumersi oggi una responsabilità in più: è illusorio ritenere che questo cambiamento possa essere generato spontaneamente, “dal basso”. Bisogna creare le condizioni affinché sia possibile produrre nuova classe dirigente a mezzo di classe dirigente, proprio partendo dal ruolo propulsivo del ceto politico e delle amministrazioni pubbliche, che dovranno essere in grado di aprirsi e collegarsi con le cosiddette minoranze attive, con i settori migliori e più competenti della società, rinunciando alle cooptazioni e agli “ingressi laterali”. Un salto di mentalità epocale, forse, ma necessario per evitare la puntuale riproposizione di quel luogo comune che vuole il Polesine eterna “terra di conquista” per interessi… in larga parte extra-polesani.

10. Guardare al centro: significa guardare a quello che si muove nella società, significa provare ad intercettare le categorie e i settori più dinamici della nostra società, non limitarsi alle schermaglie con l'Udc o con altri partiti. Il Pd vuole provare ad assumere un ruolo centrale nella politica e nella società? Vuole essere un partito che governa e promuove il cambiamento, o si limita a subirlo?

mercoledì 28 luglio 2010

Visioni estive





"Non giro film 'normali' semplicemente perché gli altri sanno farlo meglio di me".

Werner Herzog







Due film-documentari del grande regista tedesco, che ho visto di recente: “Bokassa. Echi da un regno oscuro” (del 1990) e “Grizzly Man” (2005). La parabola di un dittatore africano sanguinario, ossessionato dal mito di Napoleone e sospettato di cannibalismo, e quella di un ambientalista americano che voleva vivere tra gli orsi dell’Alaska fino a "fondersi" con essi.

Quando vedo scorrere le immagini di queste opere di Herzog non posso fare a meno di ricordare la celebre sentenza di Terenzio, “Homo sum, humani nihil a me alienum puto”, anche se forse in entrambi i film ad essere messi radicalmente in questione sono proprio i labili confini che dovrebbero separare umano e animale, civiltà e natura.

mercoledì 14 luglio 2010

Cina



Parliamo tanto di Cina e di cinesi (spesso anche a sproposito) qui in Italia.

In questo piccolo gioiello che risale ai nostri anni Settanta, "Le rose imperiali", di Luigi Malerba (ed. Mondadori), ritroviamo le leggende e le immagini di una Cina arcaica, incantata, reinventata o ricreata dallo scrittore, una Cina che sembra simile ad una pagina apocrifa eppure così vicina a noi, di monarchi tristi e feroci, di infinite gerarchie burocratiche, di sogni, di saggezze popolari e di nequizie, di magia e di arte. Una galleria di brevi, fulminanti apologhi. Ad ogni (provvisoria) conclusione, vediamo teste più o meno innocenti che rotolano per volontà di un potere cinico e insensato, metafora di ogni potere dispotico.

Per chi, anche con questo caldo, vuole provare a conoscere altri mondi e a sorridere, tenendo connesso il cervello.

giovedì 8 luglio 2010

La grande dirigenza...








"La grande dirigenza della sinistra
(Un sogno)"

"Metà segreteria
soviet o comitato
ai cani sciolti, al volontariato
ai centri sociali, agli operai
a chi non molla mai
a chi fa opposizione
anche se non è inquadrato
dalle direttive prese,
dalle telecamere accese".

(Stefano Benni)

martedì 29 giugno 2010

Eroi della rivoluzione















Inauguriamo una nuova "rubrica"...


Nome: Calimero

Tendenza politica: socialista libertario

Note biografiche: figlio di Nino Pagot e di una gallina padovana. Intellettuale cosmopolita. Animatore della contestazione extraparlamentare. Ispiratore di vari movimenti terzomondisti e veneto-animalisti. Autore di "In classe con Calimero" e "In viaggio con Calimero".

Frasi celebri: “E’ un’ingiustizia, però!”

Come è andata a finire: dopo essere stato venduto ai servizi segreti dalla spia tristemente nota con il nome in codice di “Olandesina”, emigra in Giappone insieme a Cristina d’Avena.
Prosciolto da ogni accusa di sovversione, ritorna in Italia soltanto negli anni Ottanta e, dopo una fugace parentesi all’interno di una comunità Hare Krishna, si candida senza successo alle elezioni politiche nelle liste di Democrazia Proletaria, al secondo posto dietro Paolo Villaggio. Attualmente tiene seminari su Marcuse in una università privata, collaborando con gli antichi compagni Piero e Valeriano.

venerdì 25 giugno 2010

Dialoghi filosofici...










Dialoghi filosofici... e facezie, che in questo ameno luogo virtuale il sottoscritto umilmente vi propone, senza pensare troppo all'Italia di oggi e alla qualità dell'informazione, alla manipolazione delle coscienze e agli scioperi sediziosi, alla democrazia e agli operai di Pomigliano (e alla nazionale di ieri, no, proprio no...). Nella foto sopra, comunque, potete ammirare l'immarcescibile anchorman Kent Brockman (vero nome Kenny Brocklestein) in predicato, secondo fonti bene introdotte negli ambienti che contano, di diventare nuovo direttore "di garanzia" del Tg1.

[Casa Simpson. Tutta la famiglia in sala attorno a divano e TV. Homer con una Duff in mano, Bart in mutande]

Marge: non capisco il perché ma non mi sentivo a mio agio finchè non sono tornata qui a Nuova Springfield con i miei simili.

Lisa: maa…

Marge: mi guardavano… con i loro occhi!

[Alla TV il telegiornale di Canale 6. L’immagine alle spalle di Kent Brockman raffigura monte con la scritta “Springfield una città divisa"]

Kent Brockman: l’audace esperimento di Nuova Springfield di avere un regime da coattoni [intanto sullo sfondo appare una foto di repertorio di Homer, Lenny, Carl e Boe vestiti appunto da coatti] si è rivelato un vero disastro.

Homer [smettendo di bere dalla lattina di Duff]: ehy! L’uomo TV sta parlando di noi eh?

Kent Brockman: alcuni studi dimostrano che la loro economia scatafatiscente è dovuta a pigrizia e svogliatezza.

Homer: come cacchio hanno fatto a scoprirlo?

Kent Brockman: gli scienziati dicono anche che sono fisicamente meno attraenti e mentre noi parliamo in modo garbato loro tendono ad usare espressioni terra a terra come “adi ghi” e “viè ‘n bo’ qui”

Homer: ah si? Si credono migliori di noi eh? Bart viè ‘n bo’ qui! [indicando il figlio]

Bart: viè ‘n bo’ qui te!

Homer: adi ghi… [minacciando Bart con un pugno]

martedì 22 giugno 2010

Ripartire dai circoli








In questi giorni le assemblee di circolo del Pd polesano stanno discutendo, tra le altre cose, un documento sull'organizzazione del partito che è stato elaborato nei mesi scorsi dal sottoscritto insieme ad un "gruppo di lavoro" formato dai "compagni e amici" Andrea Galdiolo (Loreo), Lorenzo Masarà (Rovigo), Marco Martini (Ficarolo), Claudio Ramazzina (Stienta), Arnaldo Vallin (Rovigo). Chi vivrà, vedrà...

Introduzione

Questa conferenza organizzativa dei circoli del Pd polesano vuole segnare un momento di riflessione sullo stato e sulle prospettive del nostro partito e un possibile momento di rilancio, di apertura, di dialogo con il nostro territorio, in tutte le sue articolazioni e in tutte le sue peculiarità: abbiamo di fronte una serie di appuntamenti fondamentali, a cominciare dalle elezioni regionali della prossima primavera, che ci vedranno tutti impegnati in una dura sfida.

Abbiamo deciso di preparare questa conferenza, non soltanto per avere una occasione in cui poter presentare alcune idee o indicazione particolari, ma per aprire uno spazio nuovo e un utile confronto con chi è disponibile a discutere sul futuro, sul ruolo che pensiamo e vogliamo abbia il nostro partito negli anni a venire. Si tratta di un primo tentativo di dare voce ai circoli, di dare voce al “territorio”, avviando un itinerario comune di confronto e di discussione che vuole riflettere sullo stato attuale del partito, sul tipo di partito che vogliamo contribuire a creare, sul suo modello di organizzazione e di radicamento.

Questo è l’inizio di un percorso: si tratta di una tappa importante, ma è soltanto l’avvio di un itinerario che immaginiamo di poter condividere con i circoli nei prossimi mesi, con altri appuntamenti e momenti di incontro e partecipazione, ma soprattutto con un congresso sullo sfondo – un congresso provinciale che porterà al naturale ricambio degli organismi dirigenti e consegnerà anche queste nostre indicazioni per il futuro, nonché l'esito di un dibattito “aperto” e non concluso.

Il partito e i circoli

Dalle primarie del 2007 in avanti, i primi due anni di vita del Pd sono stati contrassegnati da campagne elettorali (politiche e amministrative), nonché da momenti di scontro politico molto aspro: ciò ha determinato che la “macchina” del partito fosse principalmente impegnata nella contesa elettorale, nella presentazione dei propri programmi e dei propri candidati, nell'amministrazione di enti e comuni, nella proiezione della propria attività verso l'esterno. E' mancata finora la necessaria riflessione sulle modalità e sugli strumenti che potrebbero permettere di costruire una rinnovata organizzazione di questa stessa “macchina” (nella nostra provincia sono 60 i circoli, per un totale di circa 3.300 iscritti nel 2009).

L'ultimo congresso nazionale del Pd, conclusosi con l'elezione di Pierluigi Bersani alla segreteria, è stato attraversato da un largo dibattito sul tipo di partito da costruire, partendo da una comune consapevolezza dei diversi candidati e delle rispettive mozioni: l'insufficienza di quanto realizzato fino ad oggi e l'esigenza di dare vita ad una forza presente capillarmente sul territorio, presente in maniera fisica, tangibile, ma anche in grado di valorizzare nuove forme di partecipazione alla vita collettiva. Un esempio su tutti: il ruolo delle primarie e il rapporto tra sovranità dell'iscritto e partecipazione dell'elettore. Si è trattato di un confronto positivo, plurale, “vero”, che ha interessato migliaia e migliaia di militanti e di elettori, rendendo evidente forse che la questione della forma-partito rimaneva un “nervo scoperto”.

A questo dibattito il Polesine non è stato certo estraneo. Dai circoli, in particolare, è giunta in molti casi una spinta ad riflessione sul partito, ed è giunta altresì una forte richiesta di coinvolgimento, di formazione e di maggiore circolarità nelle informazioni. Oggi diventa per noi indispensabile tematizzare lo stato del partito e renderci conto che, senza una chiara percezione della questione, i circoli rischiano di rimanere un potenziale in larga misura inespresso e il nostro partito troppo simile a modelli burocratici, gerarchici, “novecenteschi” ecc.

E’ proprio dal Partito democratico che dobbiamo ripartire per costruire un progetto di governo e una alternativa alle destre di Pdl e Lega: dobbiamo cioè recuperare uno spirito rivolto al cambiamento, coerente con le ragioni che hanno portato al superamento di Ds e Margherita e alla nascita del Partito democratico più di un anno fa. Come ha scritto lo studioso Michele Salvati: “Il Partito democratico può dare vita a un modello di partito che risponda a requisiti rigorosi di democrazia e trasparenza, un partito nei confronti del quale nessuno possa affermare credibilmente ciò che oggi si sente dire di tutti i partiti: ‘non ci sono differenze tra destra e sinistra’, ‘i capi fanno quello che vogliono’, ‘nei posti che contano non mettono le persone competenti, ma gli amici’”.

Un partito – aggiungiamo – che è nato non per essere una sigla tra le altre sigle del mercato elettorale, ma per dare un chiaro segnale di discontinuità rispetto a vecchi modi e vecchi metodi della politica tradizionale, per avvicinare alla politica persone che fino ad oggi non hanno visto nei partiti tradizionali dei luoghi nei quali poter impegnarsi attivamente; un partito che è nato per dare una casa comune ai riformisti e ai progressisti, per unire il meglio delle culture politiche e delle storie che hanno edificato la democrazia in questo Paese. Le potenzialità sono enormi, le attese e le aspettative sono molteplici, e deve essere chiaro che pure a Rovigo è necessario aprire una nuova fase, una nuova storia, che vede nel prossimo appuntamento elettorale uno sbocco assai significativo, ma che non vuole arrestarsi alla semplice corsa elettorale per i Comuni o per la Regione.

Il nostro obiettivo deve essere più ambizioso: abbiamo il dovere di creare le condizioni perché il Pd continui ad essere il partito guida di questo territorio per i prossimi anni, un luogo di elaborazione politica e culturale. Non possiamo infatti candidarci a gestire l’ordinario, a “vivere alla giornata”, né possiamo limitarci a coltivare un ideale astratto di “buona amministrazione”. Una forza come la nostra deve essere consapevole che l’orizzonte in cui viviamo è molto più largo, molto più complesso – deve avere delle idee e deve sapere come riuscire a praticarle, attrezzandosi politicamente e culturalmente e raccogliendo le sfide più impegnative, abituandosi o riabituandosi anche a “pensare in grande”. Il futuro della nostra provincia deve essere pensato proprio qui, in Polesine, e non può essere l’esito di strategie e di visioni che vengono formulate altrove; sarà un futuro la cui costruzione andrà necessariamente motivata, argomentata, “qualificata”, puntando sulle idee migliori, sulle competenze e sulle capacità di elaborazione progettuale che esistono – e sono molte – anche in loco.

Ciò implica un ragionamento forte intorno alla presenza e alla struttura del Pd: un partito capace di essere forza di governo e di proposta, ma anche di essere legato a salde radici storiche e culturali; di interpretare quelli che sono i bisogni del territorio, di interloquire con tutti i principali soggetti economici e sociali, di veicolare un’idea complessiva di Polesine, a partire dai temi economici, dello sviluppo, dei diritti, del lavoro, dell’ambiente; un partito capace di organizzarsi localmente e di incontrarsi “in rete”, mettendo in relazione le esperienze e le competenze che sono presenti sul territorio.

Facendo leva sul coinvolgimento di iscritti e di militanti, sarà possibile produrre una proposta politica autonoma e aderente a quelle che sono le reali esigenze del Polesine. Valorizzare i circoli, valorizzare il “capitale umano” è oggi un vero aspetto decisivo del futuro del Pd. Il Pd dovrà dimostrare anche di essere in grado di promuovere veramente quelle che sono le sue eccellenze, i suoi giovani e i suoi dirigenti locali migliori, di far vivere la propria esperienza in mezzo alla gente, passando da una logica di appartenenza ad una aggregazione sulla base di idee e progettualità, da mettere al servizio della nostra terra.


Quale ruolo per i circoli del Partito democratico?

Alcune proposte e alcune ipotesi di discussione, elaborate in sede locale, potranno meglio sostenere lo sviluppo della nostra discussione interna e fungere da base per ulteriori ragionamenti e per più approfondite riflessioni: con questo spirito ci rivolgiamo al nostro partito.

Il protagonismo dei circoli e del gruppo dirigente diffuso, di amministratori, coordinatori, militanti, sembra inoltre costituire una premessa essenziale per poter pensare ad un partito di tipo nuovo e per avviare un confronto che si ponga l'obiettivo concreto di affrontare e centrare problemi reali, quotidiani, vissuti dai nostri iscritti e dai nostri dirigenti locali, indicando qualche possibile via d'uscita e qualche praticabile soluzione.

Un nuovo modello di partito potrà affermarsi anche cercando di far fronte ad esigenze parziali e tuttora irrisolte; esso potrà sorgere anche e soprattutto sviluppandosi dal “basso”, all'interno di una cornice di regole e pratiche condivise. In questo senso, il ruolo dei circoli assume un ruolo di importanza primaria. Occorre infatti sovvertire quel modello di partecipazione e di decisione che continua ancora oggi a scorrere quasi sempre dall'alto verso il basso. L'instaurazione di nuove “buone” pratiche condivise e l'utilizzo di strumenti inediti rappresenta il primo passo verso la costruzione di un partito più aperto e più orizzontale.

Un esempio delle difficoltà di questi primi mesi di vita del Pd, anche in sede locale, può essere sintetizzato da un dibattito politico che, sia sulle grandi questioni nazionali che sui temi di interesse polesano, è stato concentrato in misura preponderante nella direzione e nell'assemblea provinciale, raggiungendo il livello dei circoli e della militanza di base in forme episodiche (se escludiamo il momento delle primarie) e traducendosi raramente nella sperimentazione di modalità “altre” per il coinvolgimento e la partecipazione della nostra base.

Ogni circolo del Pd deve invece essere messo nelle condizioni di poter attivare un rapporto reale, costante, motivato con i propri iscritti, cercando nel contempo di concretizzare e sviluppare il rapporto con l'elettorato democratico. Oggi, in molti casi, questo tipo di impegno rischia di ricadere esclusivamente sulle spalle del segretario di circolo e, magari, di qualche persona a lui più vicina: appare dunque essenziale garantire uno scambio più stretto e proficuo tra i massimi organismi provinciali e il territorio, quale premessa indispensabile per prevenire disaffezione e scollamento tra quelli che un tempo venivano definiti “centro” e “periferia”.

La partecipazione alla vita del partito, promossa attraverso il confronto aperto e plurale nei circoli, sarà in questo modo uno dei momenti fondanti per la progettazione della nostra politica. Diventa necessario, per noi, ribaltare l'idea che la presenza attiva del singolo iscritto nella vita del circolo possa essere qualcosa di episodico o di non così centrale per la costruzione del partito che vogliamo. Il circolo deve essere altresì una realtà che “conta” veramente all'interno del partito: un luogo dove si partecipa, si discute e, soprattutto, si concorre alla decisione, anche in relazione alle scelte più ampie che riguardano il partito provinciale (elezioni regionali, nazionali ecc.) e i livelli istituzionali in cui esso si trova ad operare.

Tutti i circoli devono poter essere coinvolti, per esempio, nella scelta delle candidature e nella discussione sulle questioni politiche e amministrative di più larga portata, attraverso il ricorso agli strumenti già previsti dal nostro statuto, come le primarie, e comunque prevedendo meccanismi di ampia consultazione dei gruppi dirigenti locali e degli iscritti.

Occorre ricreare e rilanciare una idea forte di militanza e di appartenenza, e occorre ripensare i circoli anche come luoghi possibili di una socialità “gratificante” per donne, uomini, giovani, anziani, lavoratori. Alla vecchia “pedagogia” dei vecchi partiti novecenteschi, organizzata su base centralistica e ideologica, e che pure ha avuto una funzione essenziale nell'edificazione del nostro sistema democratico, deve oggi subentrare un modello più flessibile, dinamico, partecipativo, non gerarchico, aperto alla società e all'individuo. Il nostro circolo deve poter essere immaginato e vissuto come luogo di effettiva elaborazione politica e culturale, come luogo di vita attiva, come strumento di democrazia e di partecipazione concreta alla vita pubblica.

Si tratta, ovviamente, di un cambiamento che tocca da vicino anche il Pd polesano, cioè una forza politica in cui oggi confluiscono un gran numero di esperienze e di “storie” provenienti da partiti di massa come il Psi, il Pci-Pds, la Dc. Eredità importanti, significative, che rappresentano un patrimonio politico enorme, ma che, sul piano dell'organizzazione, rischiano di essere eredità ancor più “pesanti” e possono difficilmente tradursi nell'applicazione di schemi adeguati al presente, senza una adeguata, coerente, compiuta revisione di modelli e categorie del passato. In assenza di uno sguardo oggettivo su questa realtà, che implica anche le necessarie rotture e prese di distanza, il pericolo maggiore per il Pd sarà quello di oscillare costantemente tra la “mitizzazione” di certe forme organizzative e il loro completo rigetto nel nome di un malinteso “nuovismo”.

A tale proposito, è credibile ipotizzare che il nostro partito, nel rispetto dello Statuto e delle regole vigenti, possa impegnarsi su una serie di assi tematici e di proposte concretizzabili, senz'altro utili a ridefinirne l'azione e il profilo complessivo:

1. Sviluppare una politica della comunicazione: implementare le mailing list e i database disponibili in sede provinciale; pianificare l'uscita di una newsletter da inviare a iscritti ed elettori; attivare gruppi di lavoro mirati e campagne di comunicazione coordinate su questioni di interesse locale. L'avvio di una seria politica della comunicazione implica, in via preliminare, la programmazione e la promozione da parte dei livelli provinciali di una serie di incontri rivolti ai circoli, in cui tematizzare concretamente il rapporto tra la singola realtà territoriale e i media – per esempio: quali sono i contatti con la stampa nel circolo x? Chi mantiene gli eventuale rapporti con i media? Quale materiale di propaganda viene distribuito? Quale viene realizzato in loco? Quante iniziative pubbliche sono state realizzate nell'arco dell'ultimo anno? Qual è lo stato dei rapporti con i vari livelli istituzionali? Ecc.

2. Progettare e predisporre un sito web del Pd provinciale, in cui poter raccogliere anche l'esperienza dei siti di singoli circoli polesani o di blog personali realizzati da iscritti e militanti. L'idea di un partito organizzato in rete, orizzontalmente, pronto a scambiare strumenti e informazioni, idee e occasioni di dibattito e confronto sulle diverse questioni.

3. Sviluppare l'azione del partito attraverso aggregazioni tematiche: è necessario prevedere riunioni tematiche per aree territoriali omogenee, in cui il partito possa promuovere la discussione di problematiche di carattere locale in sede locale, mediante il confronto aperto tra i suoi diversi livelli di rappresentanza e l'elettorato di riferimento. A tale proposito, andranno riconvocati e responsabilizzati i gruppi di lavoro precedentemente attivati dal nostro partito su specifiche questioni: ambiente, lavoro, turismo, economia, pari opportunità ecc. I coordinatori di ciascun gruppo tematico saranno tenuti a relazionare periodicamente di fronte agli organismi provinciali del partito, illustrandone l'operato ed evidenziando eventuali proposte e contributi originali.

4. Attività formativa mirata: gli organismi provinciali del partito, d'intesa con i coordinatori dei circoli, dovranno promuovere in tempi rapidi l'organizzazione di incontri formativi, con scadenza periodica, dedicati all'illustrazione di specifici argomenti e di questioni inerenti alla “vita politica” in senso lato: il funzionamento di leggi e istituzioni; la progettazione e realizzazione di materiali di propaganda; il funzionamento di una campagna elettorale ecc. A tale riguardo, andrà ricercata l'attivazione di uno specifico gruppo di lavoro, con il compito di individuare e raccogliere le competenze disponibili dentro e fuori il partito, laddove l'esigenza del momento lo richieda.

5. Valorizzare la dimensione sovracomunale e intercomunale della nostra attività, favorendo in una provincia frammentata come il Polesine l'aggregazione anche temporanea di più circoli e di più realtà territoriali su specifiche questioni. L'impulso a tale modello flessibile di organizzazione potrà venire, ad esempio, dalla ripartizione dei collegi elettorali provinciali e dalla individuazione di figure destinate a coordinare l'azione a livello sovracomunale e intercomunale (per esempio: i consiglieri provinciali, i candidati alle elezioni provinciali, i coordinatori di circolo ecc.). Questo punto, ovviamente, è destinato ad incrociarsi con quello relativo alle aggregazioni tematiche.

6. Istituzione di un circuito permanente delle Feste del Partito democratico, attraverso la convocazione di un tavolo di lavoro provinciale in cui sia possibile, soprattutto per le realtà attive su questo particolare versante, discutere e condividere scadenze, comunicazione e pubblicità, programmazione di eventi politici e promozionali ecc.

7. Creazione di una anagrafe provinciale delle competenze, che certifichi e censisca il “capitale umano” del nostro partito in maniera pubblica e trasparente.

8. Istituzione di una conferenza dei circoli del Pd provinciale, organismo consultivo di tutti i coordinatori di circolo, destinato a riunirsi almeno due volte all'anno e ad affrontare in particolare le questioni inerenti l'organizzazione del partito.

9. Utilizzo delle risorse: il tesoriere e la commissione di tesoreria si impegneranno, con cadenza annuale, ad organizzare un momento di confronto riservato all'assemblea provinciale e ai coordinatori di circolo, presentando il bilancio del partito e affrontando le questioni relative all'utilizzo delle risorse finanziarie eventualmente disponibili, con particolare riguardo a: gestione ordinaria del partito, campagne elettorali, contributi di eletti e amministratori, presenza del partito sul territorio.